Ritratto di Andrea Caramanna
Autore Andrea Caramanna :: 14 Gennaio 2022
Locandina di Ariaferma

Ariaferma, nel mondo chiuso geometrico immaginato da Leonardo Di Costanzo, grazie alla scelta di inquadrature millimetriche e ai cromatismi bui della fotografia di Luca Bigazzi

Leggendo una recensione in lingua inglese, di cui però non faccio il nome, sono rimasto sorridente di fronte a stereotipi su Toni Servillo, definito playboy ed associato naturalmente a un autore italiano più conosciuto all'estero come Paolo Sorrentino...

Ora, Leonardo Di Costanzo (L'intervallo, L'intrusa) rimane, per fortuna un regista molto concreto, uno che vuole stare con i piedi per terra quando costruisce il suo film e bada appunto a definire al meglio le sue fondamenta.

In questo caso il rischio che il film sia preso per un'opera del genere carcerario è molto grande. In effetti, lo è, ma contiene tanti elementi che rimandano a una visione del mondo molto più stretta, meno libera per l'umanità di quanto si creda... Non ci credete?

Ebbene c'è un dialogo in cui il prigioniero interpretato da Silvio Orlando dimostra al suo antagonista (a livello attoriale ed anche di personaggio, vale a dire Toni Servillo che impersona Gaetano il più graduato all'interno della prigione) che sono un po' la stessa cosa, solo due facce diverse della stessa medaglia...

Per cui vengono in mente per associazioni film come Face/Off di John Woo o Heat di Michael Mann dove i protagonisti rivestono i due ruoli contrapposti, ma appartengono allo stesso destino umano.

Toni Servillo nella parte dell'agente Gaetano si ribella a questo tentativo di uniformare il galeotto con il custode del carcere. Dice, infatti, che lui la sera dorme tranquillo... Ma, in effetti, lo vediamo prigioniero anche lui delle procedure burocratiche e sottostare agli ordini che sembrano arrivare da un romanzo di Dino Buzzati, come Il deserto dei tartari. Tanto è vero che egli stesso si rende autore di un'azione che va fuori dal protocollo ancorché giustificata dalla possibilità che la "rivolta" dei detenuti possa innescare situazioni più violente: l'organizzazione e riapertura delle cucine abbandonate, l'accompagnamento di uno dei carcerati da solo lungo i corridoi della vecchia prigione per raggiungere le cucine ed infine anche quella ultima cena, tutti insieme, strappando del tutto con qualsiasi protocollo. Infatti, nessuno avrebbe mai accettato tanto facilmente di unirsi a tutti i prigionieri allo stesso tavolo per la cena, laddove la differenza viene perfino segnata da una bottiglia di vino celata e tirata fuori per l'occasione, ma rifiutata da Gaetano, ma solo perché in servizio non può assumere alcolici...

Quindi in Ariaferma, già il titolo vuole indicare questa fissità dei ruoli, dalla quale ci si smarca appena e con grande fatica, perché i colleghi di Gaetano non riescono a superare la barriera del protocollo, e non si allude solo alla semplice responsabilità, perché l'ampio gesto di Gaetano ha una valenza simbolica che si oppone, appunto a quell'"ariaferma".

Ma come ha fissato a livello di immagine Leonardo Di Costanzo questo potente e doloroso immobilismo? Oltreché con la sofferenza palese di alcuni personaggi, chiusi dentro le rispettive celle, soprattutto attraverso le inquadrature geometriche (vedi già la stessa locandina che dispone a cerchio i personaggi) in cui le luci di Luca Bigazzi sempre virate verso l'oscurità danno quel senso vertiginoso di una impotenza proprio nella fissità e allucinante regolarità dell'immagine. Come se queste figure geometriche regolassero il mondo "chiuso" di questi personaggi. 

Ed, in effetti, basta varcare la soglia di un interno, anche dentro la stessa prigione, in un cortile laddove già i personaggi si muovono in modo più libero, quando per esempio i due protagonisti vanno a raccogliere delle erbe nell'orto per preparare un secondo di emergenza... Lì Orlando, osservando una fila di formiche, tira fuori una tesi secondo cui alcune formiche non hanno un ruolo, non fanno proprio nulla... Ed è anche questo un nodo centrale del film, la domanda se occorra e se si appartenga, forse dalla nascita, a un ruolo: da una parte il malvivente che finisce in prigione, dall'altra il carceriere. Due mondi che però convivono alla fine, fanno parte dello stesso sistema, quello appunto al quale accennava il personaggio di Silvio Orlando, ma se ci sono formiche che non fanno niente... che non fanno parte del sistema... Chi sono gli uomini che non ne fanno parte? Dove si trovano?

La riflessione del film di Leonardo Di Costanzo è quindi molto più sottile ed ampia del semplice "volemose bene" tra carcerati e polizia penitenziaria... E considerare Ariaferma opera confrontabile soltanto con la claustrofobia di titoli come Distretto 13: le brigate della morte di John Carpenter sarebbe quanto meno insufficiente.

Semmai la claustrofobia è un effetto, un sentimento che deriva non esclusivamente dal contesto, ma da quel mondo chiuso geometrico ed immaginato da Di Costanzo attraverso il perimetro geografico di un carcere quasi abbandonato. Laddove anche la rovina e l'abbandono di una sua parte potrebbero alludere a una crisi del sistema che forse sta crollando, per guardare la nascita di una nuova umanità.

trailer di Ariaferma

Voto della redazione: 

4

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