Festival di Venezia 2016: presentata, in concorso, l'opera seconda di Tom Ford aka "Animali notturni", evocativo viaggio in cui a primeggiare è l'assoluto controllo di una messa in scena in bilico tra ansia ed evocazione
Un film stiloso, aggressivo, dark e più volte sorprendente questo Animali notturni, opera seconda di Tom Ford, che dopo l'acclamato A Single Man, dimostra di avere ancora un bel po’ di cose da dire. L’autore possiede il controllo totale sul suo materiale, e a prevalare è una messa in scena rigorosa che non ha paura di tuffarsi negli azzardi estetici, in perenne ricerca della tensione emotiva, di una spilla da balia da conficcare tra le vene. Lo vediamo fin dal meraviglioso incipit, praticamente una carrellata di freak ballerine obese defomi e mostruose che ballano con raccapricciante malizia: Ford viene dalla moda, territorio che ha sempre saputo reinventare il brutto per renderlo uno show, e quelli di Animali Notturni, davvero, è uno spettacolo che ha dalla sua plurime pallottole.
Poi la vita si mescola alla finzione (o è la vita stessa ad essere una lunga fiction?), e a vincere è lo sviscerarsi molluscoso dei generi: il regista passa dal thriller più asmatico (la scena iniziale con Jake Gyllenhaal è un concentrato di angoscia) al romance, virando poi per gli squarci di romanticismo e il dramma. Noi, ignari di quello che sta succedendo, ci fidiamo seguendo l’autore ovunque ci voglia portare: ogni singola sequenza – dalla più banale alla più rivelatoria - ti obbliga a tenere gli occhi apertissimi, in attesa di una martellata o semplicemente sospeso in un incanto vicino all’ipnosi. È questa la bravura di Ford: anche le più semplici delle situazioni – in mano sua – assumono un’aura straniante, come un’installazione in perenne corso di realizzazione (e in verità tutto il film è, davvero, una messa in scena nella messa in scena), gelida ma contemporaneamente toccante, studiatissima, ma mai didascalica.
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Gli occhi malinconici di Amy Adams ci accompagnano nel viaggio, ma a bucare lo schermo qui è assolutamente Gyllenhaal, che ci regala la sua miglior performance da diversi anni a questa parte. Le sue urla sanno di palpabilissimo dolore, martoriato e lasciato in questo buio che chiamiamo esistenza. E se ancora non vi bastasse, tenete gli occhi aperti su Michael Shannon.
Voto della redazione:
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