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Autore Giulia Marras :: 10 Giugno 2015
Locandina di Io, Arlecchino

Recensione di Io, Arlecchino di Giorgio Pasotti e Matteo Bini | L'attore italiano esordisce alla regia con una commedia dolceamara che rilancia con vitalità ma ingenuità la figura di Arlecchino e del teatro delle maschere, con uno superbo Herlitzka

Dopo essere stato uno degli interpreti principali del cinema italiano tipicamente mucciniano insieme ai vari Stefano Accorsi e Claudio Santamaria, Giorgio Pasotti, nonostante avesse tentato la strada d'autore con il bellissimo L'aria salata di Alessandro Angelini, era stato relegato nell'ultimo periodo a ruoli minori e secondari, tra cui quello noto del custode de La grande bellezza sorrentiniana. Con Io, Arlecchino ritorna protagonista e soprattutto affronta per la prima volta la regia, coadiuvato da Matteo Bini, anch'egli esordiente dietro la macchina da presa.

Scegliendo una direzione controcorrente rispetto allo sguardo attuale dei colleghi italiani, Pasotti ritorna alle radici dell'attorialità più fisica e teatrale esistente, la performance del guizzo e del lazzo, la Commedia dell'Arte. Ispirato dall'Arlecchino di Strehler, ha messo al centro della sua opera prima la celebre maschera bergamasca, rianimata dal sempre superlativo Roberto Herlitzka che condivide qua il palcoscenico del teatro cinematografico, con una compagnia di moderni outsider e principianti.

Io, Arlecchino compie il suo viaggio di riconciliazione con la scena buffonesca attraverso il classico rapporto padre-figlio (Herlitzka-Pasotti) nel punto di morte del primo, con una risoluzione forse scontata, ma priva di drammi e orpelli che appensantirebbero la commedia a cui si rende omaggio, pur in maniera semplicistica. Lo scontro tra i due, che porta con sé la contrapposizione fuori-campo dell'attività teatrale di Herlitzka e quella filmica di Pasotti, è rappresentato inoltre dal binomio teatro e televisione, medium in cui il personaggio di Pasotti lavora come presentatore di talk show alla Barbara D'Urso. Seguìto da un manager caratterizzato al massimo nella sua milanesità cafona e ignorante quasi da sembrare egli stesso una maschera della Commedia dell'Arte, con il terribile sospetto che non sia però un effetto voluto, il regista-protagonista mette in scena la decadenza parallela dei due tipi di spettacolo, medievale e contemporaneo, nella carenza rispettiva di spettatori da una parte (il teatro) e di contenuto dall'altra (la tv). In questo contesto, la figura di Arlecchino diviene congiunzione perfetta del discorso, quale personaggio "servitore, è vero, ma della sua libertà pur sempre il padrone".

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Io, Arlecchino purtroppo cede ai momenti patetici ancora richiesti per compiacere il grande pubblico, momenti sottolineati da una colonna sonora fin troppo ingombrante e accomodante, ma vive anche di intenti sinceri e liberatori nel suo voler guardare indietro per portare al cinema un nuovo, vecchio, intrattenimento, fatto di gag, capitomboli e mimiche. Peccato che le scene puramente teatrali rimangano poche, frammentarie, inutilmente attualizzate, nelle luci spente della ribalda poiché nessuno sta più a guardare, perché Io, Arlecchino compie lo stesso errore che nel finale incita agli spettatori di non fare: non svendete le vostre commozioni o il vostro disgusto; consiglio che nella società virtuale di oggi, nonchè nella critica cinematografica e non solo, vale più del film stesso.

Trailer di Io, Arlecchino

Voto della redazione: 

2

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