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Autore Camilla Maccaferri :: 29 Settembre 2014

Recensione di Sin City - Una donna per cui uccidere di Frank Miller e Robert Rodriguez. Sangue che scorre senza fantasia porta tumori di malinconia

A nove anni di distanza dal primo capitolo, tornano i personaggi della Sin City di Frank Miller, che anche stavolta firma la regia con l’aiuto dell’amico Robert Rodriguez. Appare strana la scelta di aver aspettato tanto per un sequel che chiama in gioco gli stessi personaggi e in effetti l’impressione che lascia, fin dalle prime inquadrature, Sin City – Una donna per cui uccidere è quella di un’operazione vuota, studiata a tavolino per il divertimento degli autori e poco altro.

Non c’è sostanza, né un vero e proprio fil rouge, al di là di qualche personaggio ricorrente, tra gli episodi narrati, slegati tra di loro e indipendenti come capitoli di un albo che non trova alcuna continuità. In una delle tre storie, Dwight McCarthy (in precedenza interpretato dal legnoso Clive Owen, ora con il volto roccioso di Josh Brolin) si ritrova in balia della sexyssima ex-fidanzata Ava (un’Eva Green più fatale che mai, impegnata, più che a recitare, a fare sfoggio insistito delle sue pur ammirevoli nudità) che lo inganna e manovra per i suoi loschi piani: a tirarlo fuori dai guai ci pensa il redivivo e indistruttibile Marv (Mickey Rourke, che gigioneggia volentieri, dando l’impressione di essere l’unico in campo a divertirsi sul serio). Il giovane e arrogante Johnny (Joseph Gordon-Levitt) sfida a poker il malvagio e strapotente senatore Roark (Powers Boothe), padre di “Quel bastardo giallo” ucciso nel primo capitolo da John Hartigan (Bruce Willis, qui sotto forma di apparizione fantasmatica): gli toccherà affrontarne l’ira vendicativa. Nel frattempo la splendida Nancy (Jessica Alba) continua a piangere la morte di Hartigan e a sognare di vendicarlo, andando a perseguitare il perfido Roark con l’aiuto di Marv.

Un cortocircuito che riguarda solo lo scambio di personaggi da un segmento all’altro, nessun significato, né intento che vada al di là del puro intrattenimento visivo che spinge ancora di più sul pedale dell’effetto graphic novel rispetto al predecessore, insistendo su sfondi appena abbozzati e sequenze in silhouette. Il giochino può anche funzionare, ma rimane una superficiale accozzaglia di scene action-splatter con qualche rarissima incursione nell’ironia, quasi sempre affidata al simpatico killer Marv. Persino l’uso del colore sul bianco e nero, che all’inizio sembra essere riservato agli abiti e ai volti del comparto femminile, alla fine non segue alcuna logica, limitandosi a evidenziare qua e là dettagli e personaggi senza un intento preciso. Nemmeno il cast è in splendida forma: Brolin fa il solito duro dal cuore d’oro, noioso e poco incisivo, Rosario Dawson, che torna nei panni della prostituta Gail, si vede poco, Gordon-Levitt è più concentrato sulle mossette da gagà che sul conferire spessore al suo Johnny, agli altri (come Juno Temple) sono riservate solo rapide apparizioni. Unici in campo a tenere duro, Rourke e la Alba, bellissima, dolente e spietata.

Tutti gli elementi di novità presenti nel capitolo precedente qui perdono mordente e lustro e anche le vicende narrate si opacizzano, in mancanza di personaggi graffianti come il bastardo giallo o lo psicopatico cannibale Kevin (Elijah Wood). Un finale insensatamente tranchant chiude un’opera di cui si fatica ad afferrare il senso e nemmeno la svolta 3D, piuttosto priva anch’essa di significato, serve a risollevarne le sorti. Da vedere come puro intrattenimento à la Rodriguez, con il suo comparto di teste mozzate e occhi cavati, per gioire del nutrito comparto di bellissime donne in completini succinti, senza avanzare una sola pretesa. 

Trailer di Sin City - Una donna per cui uccidere

Voto della redazione: 

2

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