Ritratto di Claudio Cirillo
Autore Claudio Cirillo :: 2 Giugno 2014
Il cinema, rappresentazione visiva di sogni e desideri

Prima apparizione su un set: avevo 16 anni

Una cinepresa degli anni Quaranta

Dopo le premesse familiari e la passione per la musica, necessarie per comprendere la personalità di Claudio Cirillo, oggi ci soffermiamo su un’altra passione, quella della sua professione. 

Ho fatto conoscenza del set cinematografico nel 1942. Avevo 16 anni. Ero insieme a mio padre, era un assistente operatore del film La donna è mobile di Mario Mattioli, con Ferruccio Tagliavini e Carlo Campanini. In quel momento, venni folgorato dalla macchina da presa. Non tanto dalla luce, no. Dai suoi movimenti. Questa esperienza me la sono portata con me ma la mia strada non era la regia. In quel campo imperversavano già Gallone, Blasetti, Camerini. Dei veri monumenti inarrivabili. L’alternativa per me era la strada dell’operatore. Così dal 1951 divenne il mio pane quotidiano.

Dai registi di quegli anni ho imparato come raccontare una pagina scritta e, senza vantarmi, ho raggiunto dei risultati lusinghieri. E ho iniziato per caso. Il mio direttore Armando Nannuzzi, a causa di una sovrapposizione con La caduta degli dei di Luchino Visconti, mi chiese di sostituirlo per Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? di Ettore Scola con Alberto Sordi e Nino Manfredi. Era il 1968, fu la mia opera prima. Sarò sempre grato a Nannuzzi per questo. Fu un successo.

Ma voglio tornare a parlare di mio padre. Era un grande fotografo ma rimase sempre un assistente operatore. Nella Cinecittà degli anni ’30, fondata da Benito Mussolini, non c’era posto per l’antifascista Emidio Cirillo perché occorreva la tessera del partito. Questo fu il motivo per cui la carriera di mio padre non decollò mai. Era un fotografo nato. Già dall’adolescenza sperimentava con la fotografia e la cinematografia e i risultati erano sempre esaltanti e io ne ho le prove. Purtroppo, tutta la sua passione concentrata nell’esperienza io la ignorai completamente.

C’è un episodio che mi commuove ancora e che vorrei raccontare. Mi chiese se poteva vedere Il commissario Pepe, di Ettore Scola, con Ugo Tognazzi. Era il 1969 ed era una proiezione privata alla Technicolor. In sala di proiezione eravamo presenti io e il tecnico. Più avanti seduto c’era mio padre. Al termine del film, il tecnico mi disse che mio padre si era commosso. Incredulo, mi avvicinai e gli chiesi un parere e lui mi disse: “È un capolavoro”.

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