È stato presentato al Festival di Venezia 2014 un documentario dedicato a Gianluigi Rondi, tra i più longevi critici cinematografici del nostro paese, il quale ha ripercorso la propria carriera attraverso racconti e aneddoti squisitamente cinefili
È stato presentato qui alla 71° Mostra del Cinema di Venezia il documentario dedicato a Gianluigi Rondi, vampiro e figura eterna del cinema italiano dalla notte dei tempi, inconfondibile con la sua posa fatta d’eleganza e di un’immancabile sciarpa bianca. Noi, come altri, ci divertiamo anche a prenderlo in giro, ma è innegabile come sia stato, con tutta probabilità, il critico cinematografico più influente della nazione, uno che ha iniziato pulendo gli scaffali di una libreria per poi finire sulle pagine de Il Tempo, diventandone voce principale per quanto riguarda il cinema. Altri tempi quelli di Rondi, in cui una recensione poteva decidere le sorti di una pellicola, quando fra le strade di Roma potevi scorgere registi / attori / distributori / uffici stampa in coda per acquistare il giornale e leggere la pagina dedicata alle critiche.
Ricca e squisitamente cinefila la vita di Gianluigi Rondi, il quale si è raccontato davanti alla camera di Giorgio Treves. Perle di saggezza e ispirazioni, aneddoti e un ripasso veloce del cinema italiano: ripercorrere la vita di Rondi è approfondire 70 anni della nostra storia, dal fascismo ai giorni d’oggi. Lui c’era allora ed è ancora qui, grande amico di registi e dive, nonché direttore di importanti festival e operatore culturale. Eccolo raccontare di una lettera che gli ha scritto Vittorio De Sica per ringraziarlo della sua recensione di Ladri di Biciclette, ma anche della telefonata di un agitato Dino Risi, il quale si lamentava per la dicitura “commedia all’italiana”. O ancora, di quando è rimasto folgorato da La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, o del viaggio fino in Giappone con Gina Lollobrigida. Piccoli resoconti densi di cinefilia, di trasudante passione e vita vissuta. In più, Treves ha anche raccolto testimonianze e omaggi, da Gilles Jacob a Francesco Rosi, passando per Margharete von Trotta e Carlo Lizzani, personaggi che Rondi ha incrociato più volte nella sua lunghissima carriera.
Particolarmente emozionante è il racconto di quando il critico fu giurato al Festival di Cannes nel 1980. Rondi s’innamorò follemente di Kagemusha, grande pellicola di Akira Kurosawa, ma il presidente di giuria Kirk Douglas voleva invece premiare All that Jazz di Bob Fosse. Allora, con passione infuocata, Rondi ha insistito così tanto (minacciando di non volersi muovere dalla riunione finchè non si sia fatta la sua volontà) da convincere i suoi colleghi: il risultato è la divisione della Palma d’oro in un ex aequo. Questo e altro nell’opera di Treves, sentito ritratto dell'ultimo possibile Dreamer del cinema italiano: Gianluigi Rondi uno di noi.
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