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Autore Pierre Hombrebueno :: 3 Aprile 2014

Al Gore potrebbe tornare sui grandi schermi per un sequel di Una scomoda verità, documentario sui problemi climatici dovuti all'inquinamento ambientale

Al Gore

Al Gore, tra i politici americani più amati dal mondo (tanto da essere insignito del Nobel per la pace nel 2007) potrebbe tornare sui grandi schermi per un sequel del documentario Una scomoda verità.

Diretto da Davis Guggenheim nel 2006, Una scomoda verità ha saputo usare il mezzo cinematografico per sensibilizzare gli spettatori sui problemi del riscaldamento globale. Ma poco o nulla è cambiato da allora, e già nel 2008 Al Gore esprimeva la necessità di un seguito, complice il pronto contrattacco delle industrie petrolifere coinvolte, che avrebbero confuso il pubblico facendogli credere che l'inquinamento ambientale non esista. 

Il produttore nonché attivista ambientale Laurie David precisa: “Quando facemmo quel film c'era l'uragano Katrina; oggi abbiamo estremi eventi climatici ogni giorno”. 
Anche Lawrence Bender, altro produttore del film originale, è convinto della necessità di un sequel: “All'epoca volevamo provocare una discussione globale sui problemi climatici; la nostra nuova scomoda verità è che non sono state intraprese abbastanza azioni concrete da allora”.

La voglia di rimettersi al lavoro è molta, ma nulla è ancora stato ufficializzato. Infatti, prima di concretizzare il possibile sequel, i produttori vogliono essere sicuri di avere le idee chiare su un nuovo modo di raccontare e rinnovarsi, per coinvolgere e shockare gli spettatori con nuove scottanti rivelazioni. Un'ulteriore conferma di come il cinema rimanga il mezzo ideale non solo per narrare storie sognanti e fughe dalla realtà, ma anche per provare a cambiare il mondo ancora una volta. 

Una scomoda verità, uscito nel 2006, fu un autentico successo. Oltre ad aver vinto 2 Oscar e un numero ormai incontabile di premi, dai Broadcast Film Critics Association Awards alla National Board of Review, il pubblico rispose con un interesse che si è poi tradotto con un guadagno complessivo di 50 milioni di dollari ai botteghini. Non male, per essere un documentario che non si avvale della presenza mediatica di un Michael Moore.

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