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Autore Camilla Maccaferri :: 13 Aprile 2014

Il product placement di prodotti e brand come strategia di marketing al cinema

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Quante volte capita di vedere prodotti o marchi noti in un film e sentire qualcuno commentare che si tratta di pubblicità occulta? In realtà, dal 2004 la strategia di marketing nota come product placement, da sempre in uso nelle produzioni statunitensi, non solo è legale ma anche regolamentata dal Decreto Ministeriale Urbani.

Il meccanismo è semplice: la produzione cinematografica stipula un contratto, spesso mediato da agenzie, con una o più aziende che desiderano integrare i loro prodotti all’interno del film. A seconda del tipo di accordo stipulato, l’azienda può semplicemente fornire il prodotto (si parla in questo caso di cambio merce o comodato d’uso) o corrispondere anche una cifra, la cui entità è molto variabile, entrando così a far parte delle voci di budget del film. In cambio della partecipazione, all’azienda sono garantiti alcuni benefit: oltre all’inserimento vero e proprio di loghi o prodotti nel film, la produzione può rilasciare materiale video e audio da utilizzare per la comunicazione aziendale interna e menzionare l’azienda nei credits del film.

I vantaggi sono evidenti: l’azienda ha la possibilità di pubblicizzare il suo prodotto, ottenendo visibilità, a volte anche nel trailer, e di “sfruttare” i protagonisti come testimonial, senza dover pagare cifre consistenti. Dal canto suo, la produzione può beneficiare di un rientro economico (la cifra, o fee, che l’azienda corrisponde) e della disponibilità di prodotti a volte costosi o difficili da reperire: per questo il comodato d’uso è spesso indispensabile, anche senza una fee d’ingresso da parte dell’azienda, quando si tratta di trovare, ad esempio, auto di lusso, strumenti musicali, pezzi di design eccetera.

In base al tipo di visibilità concessa, esistono diverse tipologie di product placement.

Si parla di visual (o screen) placement quando il prodotto, o il marchio, vengono mostrati all’interno di una o più scene del film: in questo caso, l’entità dell’accordo economico tra produzione e azienda dipende proprio dalla visibilità accordata (numero di scene, posizione dell’oggetto e/o marchio) e dalla presenza o meno di interazione con i protagonisti. Per fare un esempio, in un film in cui il protagonista beve in più occasioni una birra di una determinata marca il placement sarà più costoso, e incisivo, di uno in cui il protagonista viene visto appoggiato al bancone di un bar brandizzato con il logo della stessa marca di birra. 

Il verbal (o script) placement prevede un’integrazione molto più efficace, ma anche invasiva, attraverso la cosiddetta verbal mention: uno o più protagonisti faranno riferimento a un determinato prodotto o marchio nel corso dei dialoghi del film. Una battuta come: “posso offrirti un Martini?” permette allo spettatore di compiere un’immediata associazione mentale tra prodotto e personaggio.

Infine, la forma di product placement più potente è probabilmente il plot placement o placement integrato: il prodotto, o il marchio, non si limitano a comparire nel film o a essere menzionati, ma diventano addirittura parte integrante della sceneggiatura. A volte arrivano a comparire nel titolo: gli esempi più recenti e noti in questo senso sono Il diavolo veste Prada (David Frankel, 2006) e Gran Torino (Clint Eastwood, 2008). 

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