Recensione di The Gambler: ci sono voluti quasi tre anni dall’avvio del progetto perché Mark Wahlberg e Rupert Wyatt venissero confermati come protagonista e produttore, il primo, e regista, il secondo
Considerato il risultato, forse qualche anno di incubazione in più avrebbe potuto giovare al progetto. Il film non è male, ma soffre il confronto con il dramma che James Caan aveva interpretato molti anni fa. Per giocare un po’ con le parole, si potrebbe dire che il regista Wyatt si sia dimenticato di seguire le indicazioni del sottotitolo, cioè di andare “all in”, sfruttando al massimo un copione che in passato aveva prodotto un ottimo dramma sul gioco d’azzardo.
Jim Bennett (Wahlberg) proviene da una famiglia ricca e sembra avere avuto tutto dalla vita, tuttavia il rapporto con la madre risulta difficile ed il suo lavoro di professore di inglese associato non lo soddisfa. Le sue frustrazioni esistenziali trovano sfogo nel gioco d’azzardo a cui si dedica in modo compulsivo fino a mettersi in guai seri. Indebitatosi oltre le sue possibilità, Jim ha sette giorni di tempo per tirarsi fuori da una situazione che potrebbe costargli la vita. Da vero giocatore accanito, deciderà di giocarsi presente e futuro su una puntata di roulette.
L’azione del film è scandita da un conto alla rovescia che ci ricorda quanti giorni mancano alla scadenza del debito, in un crescendo di tensione che poteva essere sfruttato meglio. La sensazione che le quasi due ore di film ci hanno trasmesso è quella della sospensione/incompletezza, dove la maggior parte dei temi vengono accennati ma non completamente approfonditi, non sappiamo quanto intenzionalmente.
The Gambler non è né a favore né contro il gioco d'azzardo. Il mondo dei casinò, così popolare in questo momento soprattutto grazie al grande successo dei siti di gioco a distanza e delle casino app, è un ambiente in cui Jim si muove perfettamente a suo agio, sempre elegante e composto, ma di cui non riusciamo a farci un’immagine precisa. Le scene girate tra tavoli verdi e fiche non ci permettono di apprezzare la dinamica di un gioco affascinante come il blackjack o di simpatizzare con la voglia di vincere alla roulette che caratterizza qualsiasi scommettitore. Jim fa le sue puntate con freddezza, come se il suo obiettivo finale fosse sempre e comunque quello di perdere ma, anche accettando questa interpretazione, la prestazione di Wahlberg lascia comunque a desiderare.
Il suo dramma esistenziale, vissuto e verbalizzato maggiormente di giorno, tra un’aula universitaria ed il suo appartamento di lusso, non raggiunge lo spettatore come potrebbe, forse a causa di una scelta recitativa che sembra più trasmettere noia e distacco che tormento interiore.
Ci sarebbe piaciuto poter ricevere qualche spunto in più sul peso che la morte del nonno, sostituto della figura paterna, svolge nell’accelerazione degli eventi, sul perché la relazione con la madre risulta tanto difficile e su quali siano state le motivazioni che hanno spinto Jim a cercare nell’azzardo una risposta ai suoi impulsi autodistruttivi e alle sue frustrazioni di scrittore dal talento incerto, ma tutte queste domande non trovano una chiara risposta nella regia di Wyatt.
Alla caratterizzazione monodimensionale della giovane studentessa che si innamora del suo professore (Brie Larson che abbiamo visto di recente in Avengers: Infinity War) e che cerca di salvarlo da sé stesso, risponde Jessica Lange, la madre di Jim, con una prestazione che è una vera perla in questa pellicola dal potenziale non raggiunto.
Il film non è un disastro ma non è nemmeno un capolavoro. Forse, se la regia fosse stata affidata a Martin Scorsese, come era stato ventilato nelle prime fasi del progetto, il risultato sarebbe stato notevolmente differente. Il dubbio rimane.
Voto della redazione:
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