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Autore Luca Ceccotti :: 18 Dicembre 2016
Locandina di È solo la fine del mondo

Recensione di È solo la fine del mondo: il giovane Xavier Dolan torna in sala con un'opera articolata e molto discussa

Ci sono momenti, musiche e luci che sono ineccepibili in È solo la fine del mondo di Xavier Dolan, che parlano un linguaggio cinematografico complesso, strettamente legato al giovane autore canadese e che creano contrasti unici. È il suo modo di fare cinema e si vede: plasma in modo recondito le sue creature e poi le lascia libere di camminare nelle sale internazionali. La sua arte è emotivamente sontuosa e drastica nel taglio linguistico, quasi sempre sporco, dai toni sostenuti e fatto di urla, pianti e lunghi dialoghi "superflui".

Così inquadrato, quindi, il nuovo lavoro del regista resta pressoché apprezzabile, anche se in questa sua ultima e complessa opera sembra aver completamente smarrito il senso della misura, esagerando ogni qualità del suo cinema, lasciando quindi strabordare molte virtù vestite di arroganza da ogni singola scena o inquadratura.

Dato il materiale di partenza, l'impostazione è obbligatoriamente teatrale, ma Dolan va oltre e mette al centro di tutto i suoi protagonisti (uno più fastidioso dell'altro) con primi o primissimi piani che vogliono raccontare piuttosto che mostrare: il dolore, il ricordo, l'invidia, la gelosia, il rancore; elementi primari di una famiglia assolutamente disfunzionale ed eccessiva. Ecco che allora a futili discussioni, panegirici sui figli e drammi personali vengono contrapposti silenzi e una profonda visione d’insieme, che cerca di scavare dentro lo spettatore ma non con la giusta forza e soprattutto senza riuscire a controbilanciare il peso, il tedio e le performance degli attori abbastanza mediocri.

Tutto questo si traduce in un Vincent Cassell insopportabilmente sopra le righe, molesto e incapace di dare un freno alla propria recitazione (già naturalmente esuberante), di Marion Cotillard imbarazzante e sbagliata per il ruolo e di Lea Seydoux con un'espressività convincente solo nelle sequenze di pianto. Esclusa poi la madre e il protagonista recluso volontariamente nel proprio mutismo o monosillabismo, gli scambi di battute sono solo tra i personaggi sopra citati e sono pesanti, lunghi e senza sbocco narrativo utile; quello che conta lo si intuisce e il futile resta tale, diversamente da quanto voleva Dolan, che in questo modo ha invece creato un litigio lungo un'ora e mezza che sfocia nell'assurdità più totale con un escalation ridicola sul finale.

Giunti ai titoli di coda si rimane interdetti e spazientiti: un autore stimatissimo a livello internazionale ha fatto il passo più lungo della gamba, e anche salvando il salvabile È solo la fine del mondo resta un film decisamente insostenibile. Pensiamo positivo, però, perché in una carriera ancora così breve e già così importante, Dolan ha saputo scrivere pagine struggenti e seminali del cinema mondiale. Il danno è insomma marginale e perdonabile.

Trailer di È solo la fine del mondo

Voto della redazione: 

2

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