Ritratto di Andrea Caramanna
Autore Andrea Caramanna :: 28 Maggio 2014

una scena di As Rosas Brancas

As Rosas Brancas (Le rose bianche) è stato presentato in prima mondiale alla 64ma edizione del Festival di Berlino 2014, nella sezione competitiva dei cortometraggi. Non è stata premiata ques’ultima opera di Diogo Costa Amarante, ma il regista portoghese ha ottenuto già diversi premi con Jumate (2007) e In January, Perhaps (2008) a Documentamadrid08 e Salina Doc Fest 2009.

Il suo primo lavoro di fiction, Down Here (2011), è stato premiato a Montreal World Film Festival e selezionato a Palm Springs, Molodist Kiev e Sofia International Film Festival. In attesa del suo prossimo film, The Railways, si può stare sicuri che Costa Amarante interpreta benissimo l’eredità del cinema portoghese che va da Manoel De Oliveira a Paulo Branco a Teresa Villaverde e Pedro Costa, tanto per citare i nomi più conosciuti.

Curiosamente As Rosas Brancas potrebbe perfino fare riferimento per il titolo molto simile al film di un pioniere del cinema in Portogallo, Rosa do adro (Rosa del cimitero) di Georges Pallu, nel 1919, primo lungometraggio portoghese a cui seguì nel 1938 il remake di Chianca de Garcia. Come De Oliveira, autore che ha la capacità di documentare il reale con uno stile visionario, Costa Amarante costruisce un percorso di visione che a prima vista sembra astratto, ma dal punto di vista emotivo ha delle radici molto forti nell’esistenza quotidiana della specie umana in un ambiente in cui si evoca una sorta di fusione d’elementi.

Lo spunto di As Rosas Brancas è il lutto in famiglia: la perdita della moglie e madre, il dolore che trascina i “sopravvissuti” al lutto, con la necessità individuale di rielaborarlo insieme agli altri componenti della famiglia. Ma questo avviene attraverso dei lievi contatti, dialoghi che sono recitazione di versi poetici, sospiri che rimandano a segreti famigliari.

Nel film la poesia visionaria utilizza prevalentemente una ripresa dal basso che guarda verso il cielo, lasciando trapelare quella vena contemplativa che ricorderebbe le lunghe pause meditative del cinema dell’Est, in particolare Andrei Tarkovsky. La Natura ha infatti una posizione prevalente e determinante: basta vedere come sono spesso collocati i personaggi in una scena. Sono lontani, quasi sullo sfondo, mentre l’inquadratura è riempita da un paesaggio innevato. E la presenza di animali è importante, dal cavallo a un piccolo uccello forse appena nato. E del resto anche la canzone dei Supertramp, “The Logical Song” che “campeggia” dall’inizio alla fine, fa ridondare i su esposti riferimenti: “When I was young, it seemed that life was so wonderful, a miracle, oh it was beautiful, magical. And all the birds in the trees, well they'd be singing so happily, joyfully, playfully watching me”.

 

 

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