Dead Man Walking è senz'altro un j'accuse alla pena di morte, anche se lo stesso Robbins ha affermato che il problema della pena di morte è spesso malposto. La recensione
Regia: Tim Robbins
Interpreti: Susan Sarandon, Sean Penn, Robert Proski
Nazionalità: USA 1996
È difficile valutare l'ultimo film dell'attore regista Tim Robbins (Bob Roberts). Dead Man Walking è senz'altro un j'accuse alla pena di morte, anche se lo stesso Robbins ha affermato che il problema della pena di morte è spesso malposto: "Essere pro o contro la pena di morte" ha detto, "è un falso problema. La verità è un'altra: se tutti coloro che applaudono alla sedia elettrica, o all'iniezione letale, potessero vedere un'esecuzione, la pena di morte negli Stati Uniti verrebbe abolita il giorno dopo. La gente parla a vanvera perché non sa, non ha mai visto, non ha idea di cosa significhi veder morire qualcuno." Giustissimo. Infatti il pregio maggiore del film sta nel resoconto minuzioso e drammatico degli ultimi istanti di vita di Matthew Poncelet (Sean Penn), un pluriomicida che ha avuto ben poco dalla vita, costruita sull'odio verso se stesso e gli altri. È quello che scopre suor Helen (Susan Sarandon), che sino alla fine cercherà di redimerlo; ma non si tratta di redenzione religiosa, anche se di religioso c'è molto nel film, ma di un recupero della dignità umana, al di là delle azioni efferate da lui compiute. Oltretutto la storia di Matthew è vera. Suor Helen ne ha descritto gli eventi nel suo diario. E Tim Robbins, su suggerimento della compagna Susan Sarandon, ne ha tratto una severa sceneggiatura. Dead Man walking è la frase che i secondini del carcere sono obbligati a pronunciare per attestare le buone condizioni di salute del condannato (deve essere in grado di muoversi con le proprie gambe). Sean Penn ha ottenuto un meritato Orso d'argento a Berlino, mentre si attendono i risultati degli Oscar con quattro nomination per la regia, per i due protagonisti e la canzone di Bruce Springsteen. Dead Man Walking può essere considerato un ottimo documento, proprio oggi che la televisione sembra perdere la sua efficacia informativa. Dal punto di vista stilistico Robbins non concede assolutamente nulla. Le inquadrature sono fin troppo convenzionali e i dialoghi, soprattutto quelli della prima parte, decisamente prolissi. Ma già lo si è detto, il film si riscatta nelle scene conclusive: quando Matthew riceve i parenti per l'ultimo saluto, quando varca la soglia della cella e si avvia all'esecuzione e la sua vita si spegne man mano che gli orribili macchinari gli somministrano i liquidi letali.
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