Ritratto di Alessandro Guatti
Autore Alessandro Guatti :: 5 Settembre 2016

Grande successo per l'opera prima di Michele Vannucci presentata a Venezia nella sezione Orizzonti

Il più grande sogno

Ciò che per alcuni è scontato, per altri costituisce un sogno. Il futuro, ad esempio.

Per Mirko, quarantenne uscito di prigione, s’impone una scelta: ripercorrere la strada e gli errori che l’hanno portato dietro le sbarre (e quindi far coincidere il futuro con il passato) o incamminarsi su un nuovo sentiero, quello della redenzione, del cambiamento, della giustizia sociale. Da una parte c’è la vecchia vita con i debiti, i ricatti e il padre drogato; dall’altra quella nuova con la famiglia, un nuovo figlio in arrivo e un grande amico convinto dal cambiamento.

La scelta non è facile ma i personaggi sono nel cuore del pubblico e del regista fin dalle prime scene. Il più grande sogno, ispirato alla vera storia di Mirko Frezza che interpreta il protagonista, è un soffio di speranza, non solo per il bellissimo messaggio che trasmette ma per il semplice fatto di esserci, di essere stato prodotto e realizzato, di aver trovato la fiducia e l’accoglienza da standing ovation di cui il cinema italiano ha oggi bisogno.

Senza imboccare una troppo ingabbiante strada di genere precisa, l’opera prima di Michele Vannucci - già vincitrice del Premio Solinas Experimenta, presentata in Concorso a Venezia 2016 nella sezione Orizzonti - scivola leggermente tra commedia, dramma e crime story per offrire un ritratto multigenerazionale di una società allo sbando in cui la coscienza civica e la responsabilità sociale sono concetti che bisogna imparare da zero e da soli, anche perché l’assessorato è più interessato a corteggiare l’assistente di Mirko che ad ascoltare davvero le richieste e le esigenze del comitato di quartiere di cui Mirko è diventato inaspettatamente presidente.

L’opera di Vannucci ha uno sguardo ravvicinato: macchina a spalla costante per stare vicino ai personaggi, fotografia grezza, ma pulita (Matteo Vieille), montaggio vivo, ma non esasperante, sceneggiatura lineare e introspettiva (Michele Vannucci con Anita Otto) con solo qualche cedimento al melò nel momento di scoramento che precede il finale; tutto è calibrato correttamente per farci percepire la realtà del racconto e dell’ambiente.

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