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Autore Simone Soranna :: 20 Maggio 2015

“Sicario”, ultimo lavoro di Denis Villeneuve presentato in concorso a Cannes, è un film solido e ben strutturato, ma che fatica a lasciare il segno come dovrebbe o potrebbe fare

Sicario

Dopo un week end basato quasi esclusivamente sul melodramma, il concorso del Festival di Cannes inizia a sparare le sue cartucce in tutti i sensi. Il nuovo thriller diretto dal canadese Denis Villeneuve, Sicario, è un film ad alta tensione con un ritmo dinamico e martellante. Una “classica” vicenda di narcotraffico al confine tra U.S.A. e Messico è lo spunto in cui si intrecceranno le vite di Emily Blunt, Benicio Del Toro e Josh Brolin (tutti e tre in buona forma e pienamente calati nei rispettivi ruoli). La pellicola è visivamente ineccepibile, diretta con fare sicuro dall’autore che dimostra di possedere una buona conoscenza cinematografica soprattutto nello strutturare e organizzare le sequenze più concitate: da brividi la scena con le macchine bloccate nel traffico.

Ciò che però manca all’insieme è una vera necessità di esistere. Il lavoro, infatti, non aggiunge nulla (o quasi) di nuovo a quanto ampiamente detto e stradetto lungo la storia del cinema, e non solo. Il colpo di scena finale è prevedibile, ma non è questo il vero problema. La mancanza più grave è quella di voler ancora parlare di quanto il potere con la P maiuscola sia subdolo, nascosto, impalpabile, ma costantemente presente e, soprattutto, invincibile. Non ci sono buoni né cattivi, ma solo personaggi in costante e precario equilibrio tra le due sfere. Nulla di più purtroppo per un film sicuramente inattaccabile dal punto di vista formale, ma del quale ci si dimentica ben presto.

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