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Autore Rosa Maiuccaro :: 2 Agosto 2014

Al Festival Made in Italy di Londra abbiamo intervistato il regista Alessio Cremonini, sceneggiatore di "Private" di Saverio Costanzo, che ha esordito con il promettente "Border", un film sul conflitto siriano presentato allo scorso Festival di Roma

una scena di "Border"

Border [Confine] è l’opera prima del regista romano Alessio Cremonini, già sceneggiatore di Private, il film sul conflitto israelo-palestinese di Saverio Costanzo. Dopo aver presentato Border al Festival di Roma, Cremonini è volato a Londra in occasione del Festival Made in Italy. Il film racconta la storia di due sorelle in procinto di fuggire verso la Turchia per raggiungere i loro cari, ma quando a loro si unirà uno sconosciuto, ricercato dalle forze rivoluzionarie, il loro cammino verso la salvezza prenderà delle pieghe inaspettate. Il viaggio delle due donne diventa un’occasione per riflettere sulla natura umana e per cercare di abbattere quel pregiudizio che il mondo occidentale spesso nutre nei confronti di quello islamico. Non sono state poche le difficoltà di realizzazione, trattandosi di un progetto low budget, come ci ha confermato lo stesso Cremonini.

Domanda d’obbligo, perché ha scelto di raccontare la Siria e quanto è stato difficile realizzare questo lungometraggio?
Dicono spesso che l’Italia è poco curiosa poi invece ci sono le persone curiose e credo che 150.000 morti siano un motivo per raccontare una storia. Il progetto è partito dall’inizio del conflitto nel 2011 ma la storia risale al 2012. Ci sono state difficoltà dall’inizio alla fine a partire dai soli 80.000 euro di budget e dalle riprese, realizzare in 18 giorni. Si tratta di un film italiano realizzato in lingua araba e dunque abbiamo affrontato delle evidenti problematiche linguistiche. Non si poteva girare in Siria perché c’è un conflitto in corso. Pensi che le scene notturne sono state girate utilizzando i fari delle automobili! Come se non bastasse, la sceneggiatrice è stata rapita in Siria una settimana prima dell’inizio delle riprese. L’attore protagonista non aveva il permesso di soggiorno e quindi ci siamo dovuti ingegnare per fargliene avere uno temporaneo. E la lista potrebbe continuare.

Come è avvenuta la scelta degli attori?
Non sono attori professionisti. La più piccola è una studentessa, l’altra è un architetto. Per fare un film con persone che non fanno parte del tuo mondo, devi entrare necessariamente nel loro. La cosa più semplice ma anche più difficile è stata quella di entrare in contatto con la comunità siriana in Italia. In quel periodo ho cominciato a farmi un’idea su chi sarebbe andato bene per interpretare i ruoli principali nel mio film.

Credo che questo sia un film non soltanto sul confine materiale che separa la Siria dalla Turchia ma anche sul sottile equilibrio che c’è tra la voglia di sopravvivenza e la perdita di umanità.
Questo è proprio il punto centrale del film. Quando vai in zona di guerra capisci che si salvano spesso i più codardi e i più cinici. Questo non significa che lo saremmo anche nella vita quotidiana ma la nostra vera natura viene fuori in quei momenti quando tutto intorno a te è distruzione e l’unica cosa che ti interessa è sopravvivere. La conseguenza di ciò è la perdita di umanità. Il comportamento del protagonista del film è infatti molto contraddittorio perché prima spara in modo sconclusionato e poi salva la bambina. Questo fa capire quanto in guerra sia labile il confine tra bene e male. Per un attimo puoi essere un assassino e quello dopo un santo. Nei nostri salotti siamo abituati ad avere delle traiettorie più o meno lineari mentre in quel frangente le traiettorie sono a zig zag.

La polemica riguardo le differenze culturali richiama i film di Farhadi.
ll film diventa polemico perché io ho la sensazione che noi occidentali capiamo molto poco del mondo islamico. Poi credo che loro si aspettassero un’azione da parte nostra e non che abbandonassimo il loro paese all’autodistruzione. Questo è un film politico e non poteva essere altrimenti considerato che non ricordo 150.000 vittime neanche durante la guerra dei Balcani.

Quali sono le barriere culturali che ha incontrato durante questo percorso?
Da parte loro nessuna. In Italia c’è una piccola comunità di lungo corso, anche piuttosto agiata. Poi sono mediterranei e per un italiano è molto facile comprenderli. Di base è importante non avere pregiudizi. Poi è stato naturale cambiare punto di vista. I film, almeno personalmente, servono ad essere più curiosi e a scoprire cose che non conosci, altrimenti faremmo un altro mestiere. Questo film mi ha cambiato molto, e ho imparato molto dell’Islam leggendo il Corano.

Attori professionisti, principio di verosimiglianza e produzione a basso costo. È un appassionato del neorealismo?
Magari riuscire a fare qualcosa di simile! Noi in Italia abbiamo vissuto una battaglia culturale e dopo trent’anni di bombe che lasciano morti di altro tipo, è impossibile fare un cinema diverso. L’unico modo è cercare di farlo a basso costo, anche perché altrimenti nessuno l’avrebbe prodotto. Noi non abbiamo avuto nessun fondo. Così ho ripetuto l’esperienza dei grandi. Poi nonostante la recitazione sembri così naturale, tutti i protagonisti del mio film hanno alle spalle delle vicende personali molto dure.

Il film è stato presentato al Festival di Roma poi a Londra e Toronto.
Sì, di Toronto sono veramente molto orgoglioso perché il direttore del festival è un grande fan del film. Il mio intento era fare un film il più puro possibile, che non avesse bisogno di grandi mezzi tecnici per esprimersi al meglio. Io e le due sceneggiatrici abbiamo cercato di essere il più trasparenti possibili. Questo può aver creato qualche problema di empatia con il pubblico ma era importante per me che ci fosse una totale assenza di giudizio. Per questo non ci sono neanche musiche. Un film che è quasi un tentativo di anticinema e questo è ciò che ha colto anche il presidente di Toronto.

Spesso si dice che il cinema italiano è troppo provinciale, andare all’estero può essere la chiave per arrivare ad un pubblico più internazionale?
Abbiamo vinto da poco un Oscar e quindi non si può parlare male del cinema italiano. Il film di Sorrentino è una Grande Bellezza. Poi non sta a me giudicare. Io credo che il cinema esprima il meglio che può dare e se il nostro cinema esprime questo allora magari il problema non sta nel cinema ma nell’Italia stessa. Però secondo me gli italiani sono persone curiose, sta a noi cineasti ricercare quella loro parte più folle. In Italia si osa poco non solo nel cinema.

Progetti futuri?
Chiaramente non in Italia.  Ho in mente un progetto molto complicato che non so se riuscirò a realizzare. Il tema è la Shoah. Sto scrivendo la sceneggiatura. Non sarà ambientato in Italia ed è naturalmente un film che necessita un budget importante quindi sarà difficile trovare dei finanziamenti per un regista come me, che ha esordito con un piccolo film. Però se uno non ha ostacoli cammina indisturbato mentre chi come me li ha è costretto a saltare, quindi sono abbastanza fiducioso.

Il trailer di Border

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