Il regista de "La sposa turca" e di "Soul Kitchen" al Marrakech Film Festival ha parlato del suo rapporto con il cinema e dei maestri che l'hanno ispirato
I festival cinematografici si possono vivere in mille maniere diverse. C’è chi si lascia prendere dagli appuntamenti mondani, chi scopre di avere una concentrazione altissima e riesce a vedere un numero sconsiderato di film al giorno e c'è chi partecipa anche per imparare a conoscere meglio dei registi. Le masterclass, questi appuntamenti con il nome altisonante sono delle vere occasioni per chi vuole avvicinarsi alla poetica di un autore, per chi vuole capire qualcosa di più di chi sta dietro alla macchina da presa. È quello che è successo alla quindicesima edizione del Marrakech Film Festival a tutti coloro che hanno assistito all’incontro con il regista turco-tedesco Fatih Akin.
Il cineasta di quarantadue anni si è concentrato soprattutto sulle sue influenze e sul suo ultimo film, Il padre che nel 2014 era in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
C’è un nome che è risuonato più e più volte nella sala ed è quello di Bruce Lee: Fatih Akin ha infatti confessato che tutto il suo cinema è debitore nei confronti dell’artista di origini cinesi. Nonostante non gli abbia ancora dedicato ufficialmente un tributo cinematografico Lee è per lui un immenso filosofo delle arti marziali.
Per quanto riguarda il suo primo successo internazionale, La sposa turca – premiato a Berlino nel 2004 -, il regista nato ad Amburgo ha detto di essersi ispirato molto a Traffic di Soderbergh (soprattutto per la libertà dei movimenti della macchina), a Le onde del destino di Lars Von Trier e ad Intimacy di Patrice Chereau.
“Devo innamorarmi dei miei attori” ha detto il regista che ha usato una metafora immediata e forte per descrivere il suo rapporto con la settima arte, aggiungendo che “girare un film è una guerra, una guerra santa. È la mia jihad personale”.
Un altro autore a cui si ispira il regista di Soul Kitchen è John Cassavetes, in particolar modo quello dell’ultimo periodo per la grande attenzione che riservava al momento delle prove con gli attori.
[Leggi anche: Recensione di The Cut | Il suicidio artistico di Fatih Akin]
Se invece per I confini del paradiso, il suo film del 2006, Akin ha fatto il nome di Alejandro González Iñárritu e del suo 21 grammi, interessante è vedere come per Soul Kitchen si sia ispirato a Boogie nights di Paul Thomas Anderson.
Un regista dunque molto consapevole delle proprie radici e profondo conoscitore del cinema mondiale, un autore dal quale il mondo dell'arte si aspetta ancora molto.
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