Recensione di Il figlio di Saul | Un devastante tour de force fra le macerie della disumanità
Recensione di Il figlio di Saul - Il cineasta ungherese László Nemes affronta l'olocausto attraverso un potentissimo tour de force che ti stringe il collo, volando claustrofobico fra desolante disumanità e ipnotica commozione
L'olocausto non è solo ansia, ma anche e soprattutto spasmo esistenziale, perenne e doloroso delirium tremens carico di frenetica paura e tachicardiache convulsioni. Sempre al grado massimo, di quelli vicini all'annientamento (dello sguardo, dei sensi), in disperata ricerca di un angolo di umanità laddove la morte regna sovrana: davanti a noi, l'incontrollata bestialità dell'uomo concentrata in un pezzo di storia. L'ungherese László Nemes ci restituisce tutto questo col suo incredibile film d'esordio, Il figlio di Saul, già acclamato dalla critica internazionale all'ultimo Festival di Cannes e recente vincitore del Golden Globe come Miglior Film Straniero (farà doppietta agli Oscar? Incrociamo le dita!).
L'autore affronta il genere allontanandosi dai suoi capisaldi (da Schindler's List a Il pianista) e trovando la propria visione estetica in un perenne pedinamento del protagonista, un prigioniero costretto dai nazisti a seppellire i propri compagni. La cinepresa gli rimane perennemente incollata a pochi centimetri di distanza, crudele e impassibile testimone del dramma, mentre l'orrore più grafico si riduce a brevi squarci in cui intravediamo/annusiamo cadaveri e desolazione. L'effetto è all'inizio straniante (fuori fuoco, vaghe forme che si creano nell'ombra più minacciosa), ma è questione di un attimo prima di essere catapultati al centro nevralgico dei pianisequenza che disegnano le traiettorie di questi inferi. E il viaggio, potentissimo come una mano che ti stringe il collo, vola claustrofobico, destabilizzante ma anche carico di ipnotica commozione.
[Leggi anche: Film che ossessionano lo spettatore già alla prima visione]
Prendete Children of Men di Alfonso Cuaron, la sua regia ossessiva un po' cinema bellico e un po' cinéma vérité; poi, shakerate con una dose triplicata di angoscia e frastornazione, e forse avrete un'idea di che cosa sia Il figlio di Saul, un racconto minimale che diventa un'esperienza da vivere(subire/morire) davanti alla fantasmatica intoccabilità del grande schermo, imbuto dei nostri incubi peggiori e delle nostre sensazioni più devastanti.
E credeteci, quando vi diciamo che un'opera sull'olocausto come questa non c'è mai stata prima d'ora.
Voto della redazione:
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