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Autore Alessandro Tavola :: 15 Settembre 2014
Locandina di La nostra terra

Recensione di La nostra terra di Giulio Manfredonia con Stefano Accorsi e Sergio Rubini: la storia di un piccolo grande successo contro la criminalità, tra i freak e l'ottimismo a cui il regista ci ha abituato

Una storia di antimafia, pomodori e di uno scassatissimo gruppo di toccati: questo è La nostra terra, il nuovo film di Giulio Manfredonia con protagonisti Stefano Accorsi e Sergio Rubini in uscita il 18 settembre. Dopo la doppia ubriacatura kitsch di Qualunquemente e Tutto tutto niente niente, il regista torna ad un contesto almeno all’apparenza più sobrio e su temi e meccanismi a lui cari, raccontando una piccolo grande successo, quello di Filippo, che porta il «coraggio della legalità» da Bologna a un paesino del sud, fondando una cooperativa e adoperandosi per ricominciare a coltivare (biologicamente) i campi espropriati ad un boss della zona ora in carcere.

L’impianto è quello di Si può fare, raccontando un’impresa che parte quasi dal nulla e totalmente dal basso. Come con i pazienti dimessi dai manicomi nel film del 2008, la nuova truppa di Manfredonia è quella di buffi freak da provincia, con i quali l’autore si riconferma capace di far emergere psicosi e stereotipi al punto giusto, tra bifolchi, contadini vecchio stampo, gay sopra le righe, fissate della new age, atleti paraplegici.

Non senza qualche macchietta di troppo, turbe e fissazioni risaltano, e si gode d’un manipolo di stralunati da cartone animato, vivo, vivace ed esuberante, in cui nessuno è sano e tutti sono fuori di testa – il personaggio di Accorsi in primis, nevrotico, ansioso e fissato con la burocrazia. L’accusa è sempre presente ma ben mimetizzata nello spettacolo dato da questa banda di disadattati e da una semplicità dall’amarezza lontana dove a risaltare è il rapporto con la terra, «quella che ci ospita, ci nutre e ci seppellisce».

L’autore di È già ieri è nuovamente abile commediografo, capace di filtrare i propri messaggi attraverso i toni comici senza che vi sia l’appesantimento di una morale imposta o distaccata dalla vicenda. A rendere La nostra terra un buon film non è il suo testo d’impegno civile e sociale, ma la consueta e rinnovata forza con cui le tematiche vengono presentate. Il suo non è un piglio da giullare che viene improvvisamente interrotto dal sasso della coscienza o della giustizia: lo scopo ultimo è infuso nei personaggi, nelle loro idiosincrasie e ridicolaggini, in cui il preoccupante non ha bisogno di essere esasperato, come in un carnevale che basti da sé ed in cui la leggerezza risulta infine più letale di qualsiasi armeggio drammatico, dove l’happy end viene accolto da un tappeto rosso lungo novanta minuti di battute, ritmo, candore e toni smorzati. Il ricatto ed il buonismo sono praticamente assenti: un ottimismo da “il peggio è passato” veglia su ogni cosa e Manfredonia si rivela un regista dalle capacità classiche e al contempo fresche ormai rare.

Trailer di La nostra terra

Voto della redazione: 

3

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