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Autore Giulia Marras :: 26 Agosto 2015
Locandina di Partisan

Recensione di Partisan con Vincent Cassel | L'esordio dell'australiano Ariel Kleiman è un'enigmatica immersione nel mondo chiuso di una piccola comunità esclusa e nascosta dal mondo esterno, regolata dalla follia di un padre despota

Presentato all'ultimo Sundance Film Festival dove ha vinto il premio per come Migliore Fotografia, Partisan è un esordio anomalo, girato con occhi ispirati e attenti, quasi come appartenessero a un regista ormai veterano, mentre l'originale soggetto narrativo è trattato fin troppo spavaldamente, sfacciato al punto di ritrarsi e infine nascondersi nella sua durata fulminea.

Ariel Kleiman dirige e scrive, insieme alla compagna Sarah Cyngler, la storia di Gregori (Vincent Cassel) patriarca di una comunità nascosta al mondo esterno, formata dalle sue compagne e dai loro figli: Gregori si occupa amorevolmente di educarli e farli divertire, a suon di stellette e karaoke, ma soprattutto di fargli capire come il mondo là fuori sia atroce e invivibile; e per questo gli insegna a uccidere. Ispirato da un articolo letto sul New York Times sui bambini assassini colombiani, Kleiman ha voluto liberare il fatto di cronaca da ogni contesto geografico, sociale e politico focalizzando l'attenzione sull'universo chiuso, sulle sue regole e rituali, trasfigurando la realtà in una favola oscura e arcana, in cui l'aderenza a una qualsiasi traccia di familiarità è sfuggente e arbitraria. Se le madri mantengono un ruolo amorevole e d'apprensione, i bambini vivono in una sorta di Isola che non c'è dove le uniche direttive, perentorie, sono quelle dettate da Gregori, mentre la creatività e il divertimento vengono stimolati continuamente in una libertà apparente e ingannatrice. L'unico collegamento con l'esterno è un tunnel sotterraneo, sorta di caverna platonica sulla quale si proiettano tutte le ombre della vita creata dal “Master” Gregori e dalla quale i piccoli prigionieri possono uscire solamente con una pistola in mano, con la licenza e l'obbligo di uccidere.

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Se il paragone con Dogtooth di Yorgos Lanthimos è praticamente servito, è meno scontato il collegamento dichiarato dal regista con il film Cria cuervos – Alleva corvi di Carlos Saura, gioiello spagnolo che richiama il proverbio “se allevi dei corvi, prima o poi ti caveranno gli occhi”. E di conseguenza, il pensiero può rimandare anche al mondo isolato e arcaico dell'apicoltura de Le meraviglie di Alice Rohrwacher, che con Partisan condivide le particolari atmosfere surreali ricreate da uno sguardo, disilluso ma stregante, interno all'ambiente non ordinario che racconta.

Come ammesso all'inizio, purtroppo Partisan soffre di troppa sicurezza nelle sue corde stranianti e misteriose, volendo soltanto abbozzare i meccanismi della società che rappresenta, fermandosi al non detto, al suggerito, quasi a voler immedesimare lo spettatore con i bambini-soldato di Gregori: così rimane al buio della mitica caverna e, come i piccoli protagonisti, prigioniero dell'incomprensione.
Come prima prova però la fiaba tragica di Kleiman è un promettente ed intrigante affresco sull'autorialità genitoriale e sulla possibilità audace di rimetterla in discussione; una rappresentazione altamente simbolica valorizzata dall'interpretazione severa ma vulnerabile di Vincent Cassel, né padre né dittatore,né buono o cattivo, al confine estremo tra l'amore paterno e la follia sociale, coadiuvato dal giovanissimo Jeremy Chabriel, il figlio che per primo si ribellerà.
Forse non riuscirà a conquistare tutti, ma sicuramente stimola lo sguardo critico di chi guarda e tenta di sciogliere l'enigma filmico, e incoraggia buoni sviluppi per il futuro cinematografico del regista australiano.

Trailer di Partisan

Voto della redazione: 

3

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