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Autore Giulia Marras :: 4 Settembre 2016
Safari di Ulrich Seidl

Recensione di Safari | Il regista austriaco della trilogia Paradise, Jesus You Know e di In the Basement torna al Festival di Venezia con un nuovo documentaio sul turismo di caccia in Africa proseguendo la sua indagine brutale sulle manie occidentali

Presentato (ancora una volta) fuori concorso, ritorna a Venezia dopo lo sconvolgente In the Basement del 2014 lo sguardo grottesco e glaciale del regista austriaco Ulrich Seidl, questa volta focalizzato sul turismo di caccia in Africa: alloggiati in lussuosi bungalow, turisti tedeschi e austriaci dedicano le loro vacanze o il loro tempo libero nel pensionamento al bracconaggio di zebre, giraffe, leoni, bisonti, gnu, impala, ecc. Ognuno ha il suo prezzo da abbattimento, il suo valore di listino. Come sempre, l'approccio di Seidl prende le distanze dai suoi soggetti in esame, come veri e propri esemplari in via d'estinzione da scrutare da lontano, senza invadere il loro campo d'azione.

Quasi lasciando da parte il discorso sulla legittimità del fenomeno venatorio, Seidl inquadra i protagonisti, tra cui una coppia di pensionati e un'intera famiglia dedita all'arte della caccia, in una composizione simmetrica e fissa che li isola insieme ai loro trofei, alla loro ossessione all'occhio dello spettatore del tutto irrazionale, creando un ritratto impietoso di contrasti etici e morali, come accadeva nell'esplorazione delle cantine austriache in In the Basement.

Non c'è empatia in Safari, ma non c'è nemmeno l'imposizione di un giudizio: sempre a fianco degli stessi bracconieri, l'uccisione avviene in fuori campo; solo il tonfo della caduta dell'animale colpito suggerisce la ferita e infine la morte, dopo la ricerca del cadavere. E se ancora l'animale sopravvive, come nella scena più forte del documentario che segue l'agonia di una giraffa, neanche allora interviene la pietà con un eventuale secondo colpo, per evitare di intaccare la preziosa pelliccia. Il rispetto del cacciatore verso il regno animale è solo di facciata, mentre dietro si colloca la ricerca affannosa di adrenalina, nonché di predominanza conservatrice sull'apparente bestiale e selvaggio.

[Leggi anche: "Im keller - In the basement", un mondo sotterraneo sorprendente]

Così la libertà e l'agilità delle prede, che rimangono inevitabilmente fuori dall'immagine precisamente messa in scena da Seidl, si contrappongono all'immobilità e alla rigidezza dell'uomo, goffo nei movimenti e nei pensieri; i trofei impagliati e appesi nei loro salotti non sono allora così diversi dai protagonisti umani e vivi. Il contrasto brutale si consuma anche nelle differenza tra i turisti bianchi e i loro accompagnatori nativi: africani che saranno i soli a lavorare le pelli e le carni degli animali uccisi dalla ricchezza e dalla freddezza di un colpo di fucile.

Certamente in sottotono rispetto alla prova precedente e allo speculare Animal Love, Seidl continua a provocare non soltanto attraverso l'exploitation della manie e degli scandali occidentali ma anche a infastidire il pensiero dominante, compreso quello animalista.

Trailer di Safari

Voto della redazione: 

3

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