Hoyte van Hoytema - "Her" e "The Fighter" - racconta l'esperienza sul set di "Interstellar" di Nolan. A cosa si è ispirato il direttore della fotografia? Quanto c'è di digitale e quanto di reale? I sacrifici con la camera IMAX e con i set in Islanda
Hoyte van Hoytema, direttore della fotografia olandese che ha collaborato con Christopher Nolan per l'epico e discusso Interstellar, ha raccontato qualche aneddoto sull'esperienza sul set del film e di come fosse complicato, in alcuni frangenti, fare i conti con la complessa attrezzatura e i disagi delle location in esterni. Sicuramente potrebbe scattare una nomination agli Oscar del 2015 per colui che attirò l'attenzione del pubblico con le nomination per La talpa ai BAFTA e agli American Society of Cinematographers Awards nel 2012.
Van Hoytema è anche noto per Her e The Fighter e Nolan ha subito compreso la sua passione per il cinema e per l'immagine, sicuro di sostituire per bene il suo storico DOP Wally Pfister. Dice van Hoytema: "Abbiamo girato il più possibile con le camere IMAX, circa 60-70 minuti, e il resto lo abbiamo ripreso con lenti anamorfiche in 35mm. Volevamo che la percezione fosse quella della realtà, non di qualcosa di troppo pulito o liscio, bensì un effetto spontaneo e ruvido. Io ho ripreso la maggior parte delle scene con in mano la videocamera, anche se avevo con me uno dei migliori operatori, Scott Sakamoto, che ha fatto un lavoro brillante con la Steadicam".
Il direttore della fotografia ha precisato che lavorare con le camere IMAX non è facilissimo, perché è come tenere in mano un bambino; quindi lui e il suo team hanno lavorato con IMAX e Panavision sull'ergonomia dello strumento per renderlo un po' più confortevole da maneggiare, poiché c'era necessità che fosse flessibile per alcune scene, caratteristica che la grossa camera non ha.
[Leggi anche: Perché vedere Interstellar in una sala IMAX nel formato originale in 70mm]
Per trovare l'ispirazione van Hoytema si è servito dei filmati IMAX provenienti dall'esperienza del footage fatto durante i viaggi dello Space Shuttle Endeavour e l'idea è stata quella di utilizzare lenti con un angolo ampio in spazi piccoli, per esaltare la percezione dell'oggetto vicino alla mdp e creare la sensazione di claustrofobia.
Si è anche preferito costruire realmente i set - come gli interni della navicella spaziale - invece di ricorrere al digitale e proiettare lo spazio fuori dalle finestre della navicella, simulando anche il sole che vi passa attraverso. Oppure, durante la scena iniziale in cui i personaggi guidano attraverso una tempesta di sabbia, c'erano dei ventilatori che spargevano polvere addosso al veicolo creando una specie di piccola tempesta; e per alcune sequenze è stata montata una videocamera sul tetto del veicolo.
Grande difficoltà per la sequenza della superficie del primo pianeta su cui l'astronave atterra, completamente sommerso da un oceano con onde giganti a ripetizione. La location era un lago in Islanda e van Hoytema ricorda che la troupe era immersa fino alle ginocchia nell'acqua e non si vedeva che quella fino all'orizzonte: in quell'occasione è stata utilizzata solo luce naturale. Giorni di fila in piedi nell'acqua gelida, senza potersi sedere o appoggiare gli strumenti.
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