Nuits d’été, primo lungometraggio di Mario Fanfani, è passato a Venezia nel corso del consueto Festival, nella sezione “Giornate degli autori”, edizione 2014. Si è conquistato il Queer Lion, che è il massimo riconoscimento per le opere a tematica LGBT. E le motivazioni del premio appaiono centratissime: "La ricerca della propria identità è sempre un atto rivoluzionario! Lo fa il protagonista indossando abiti femminili pur mantenendo le proprie convinzioni borghesi; lo fa la moglie attraverso la sua emancipazione e gli ideali pacifisti; lo fanno a loro modo tutti gli altri personaggi all’interno di un’opera queer che mescola, con eleganza, tradizione e trasgressione".
In effetti, il film di Fanfani rappresenta una lacerazione profonda tra l’essere e l’apparire, tra quello che siamo nella nostra intimità e la maschera che abbiamo scelto per le relazioni con l’altro. Fino alla conclusione pirandelliana, per la quale si finisce sfaccettati, a controllare decine di identità diverse. Questi personaggi appaiono tutti sfaccettati laddove la società ed il sistema di controllo delle anime ha deciso così, tanto che alla fine si reagisce a quest’opera cercando proprio di ribellarsi allo status quo. Anzi, sono i minuti che passano all’interno di questa sontuosa descrizione - sontuosa nel senso che il decor è straordinario e l’atmosfera della fine degli anni cinquanta è perfettamente indovinata dai colori della fotografia - che ci spingono a una ribellione collettiva: una ribellione che riguarda tutto e tutti, perché nell’ipotetica rivoluzione tutti abbiamo da guadagnare in felicità e benessere. Cosa, invece, ha spinto verso l’ipocrisia ”borghese” o no che sia? Cosa ci ha spinto ad accettare la guerra come necessaria? Cosa ci ha spinto a considerare il matrimonio come un’istituzione nella quale i ruoli devono corrispondere a una morale sempre più superata?
La prospettiva temporale di Fanfani ci aiuta a rilevare una sostanziale continuità nel tempo, nell’attualità dei costumi che caratterizzavano la Francia del 1959. Non è cambiato nulla da allora, anzi alcune scene mostrano come le libertà espressive, le individualità alla fine emergessero: sia che si rivendicasse la propria natura sessuale, sia che si dicesse no in maniera netta alla guerra. In fondo, il fatto che Michel/Mylene (Guillaume De Tonquédec) e la moglie Hélène (Jeanne Balibar) si trovino in momenti e situazioni diverse nella stessa prospettiva di necessaria rivendicazione morale dell’essere, non fa che regalare a Nuits d’été una grande lucidità espressiva. Il conflitto tra marito e moglie diventa quanto mai esplicativo di un’ipocrisia generale. Se Michel, infatti, pretende di esprimersi nascondendosi con il gruppo di travestiti a Les Epicéas, Hélène pronuncia un discorso al vetriolo contro la guerra in Algeria. Cosicché non possiamo alla fine parlare di un solo travestitismo.
È questo che ci insegna il film: che ci sono tanti travestitismi quanto gli atteggiamenti umani e che i travestitismi possono essere buoni o cattivi, insensati ed inutili, come quando Michel imbracciando un fucile, nel ruolo del cacciatore, uccide un povero cerbiatto. Occorre, dunque, non agire per impulso, ma verificare la propria presenza nel mondo. È questo che a poco a poco fanno i personaggi del film, come il giovane disertore, cosciente dell’inutilità del conflitto. A questo arriva anche la coppia Michel/Hélène consapevole che l’amore è sempre un superamento di sé, e la distruzione di ruoli imposti dalla morale comune, spesso solo il paravento di una sostanziale insensatezza.
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