Ritratto di Massimiliano Bellino
Autore Massimiliano Bellino :: 7 Giugno 2014
Horror Erotico nel Cinema Europeo

Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri

Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri

Ammetto che ascrivere al cinema horror erotico Un tranquillo posto di campagna (1968) di Elio Petri, possa apparire tirato per i capelli, data la difficoltà estrema di incasellare in un genere specifico questo film bellissimo, scritto da Tonino Guerra e dallo stesso Petri, e disseminato di mille suggestioni e contaminazioni.Tuttavia, molteplici elementi di erotismo deviato e di commistione fra regno dei vivi e dei morti, a mio avviso giustificano in pieno questa scelta.

Un pittore milanese, un Franco Nero eccezionalmente ispirato, di grande successo ma psicotico, è dominato da fantasie ad occhi aperti e da incubi sadomasochistici. Insoddisfatto e disturbato dall'ambiente lombardo, per dipingere, ma soprattutto per vivere fino in fondo le sue ossessioni, l'uomo si rifugia in una villa abbandonata vicino Padova, che esercita su di lui un fascino morboso e inspiegabile fin dal primo momento che la vede. Ma tale attrazione appare presto motivata dalla presenza del fantasma di Wanda, una giovane contessa ninfomane, interpretata dalla bella Gabriella Grimaldi, uccisa misteriosamente anni prima, la quale entra prepotentemente nella vita del pittore, fino ad attentare per gelosia alla vita della sua compagna e manager, Vanessa Redgrave in tutta la sua raffinata sensualità, verso la quale l'artista nutre sentimenti contrapposti di odio-amore.

Al di là del soggetto interessantissimo e della sceneggiatura molto ben scritta, con questo gioiello cinematografico Elio Petri dimostra un talento senza ombre nell'uso visionario della macchina da presa, anticipando tecniche espressive che saranno perfezionate ulteriormente nel suo capolavoro assoluto Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Notevolissime anche le scenografie postmoderne - ricordiamoci che è un'opera vecchia di quasi 50 anni - nelle prime sequenze del film, che ricordano moltissimo quelle usate da Stanley Kubrick in Arancia meccanica e che si sposano perfettamente con il narrato.

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