La direttrice di La Milanesiana presenta il suo nuovo film, "Il pesce siluro è innocente"
Elisabetta Sgarbi - direttrice editoriale di Bompiani, scrittrice, ideatrice e direttrice di La Milanesiana, regista - è simile alla città in cui è nata, Ferrara, e al Delta del Po che, ultimo in ordine di tempo, ha catturato la sua attenzione di regista: donna di fiume elegante e discreta, è cordiale, e pragmatica, e al contempo imperscrutabile e sfuggente. Di sicuro è instancabile: felice del successo, per il sedicesimo anno consecutivo, della rassegna culturale che regala a Milano eventi gratuiti con scrittori, cineasti e premi Nobel, l'abbiamo intervistata in occasione dell'anteprima del suo ultimo film.
Partiamo da Il pesce siluro è innocente, presentato il 20 luglio al Cinema Mexico: seconda parte di un trittico dedicato al Delta del Po, racconta di un paesaggio abbandonato che di recente ha ricevuto lo statuto di patrimonio dell'umanità dall'UNESCO e costituisce una ricchezza sconosciuta ai più. Quali obiettivi si pone con Per soli uomini e gli altri due film? In altre parole: perché ha deciso di dedicare tre film al Delta del Po?
Non hanno uno scopo preciso, raccontano, mostrano il rapporto tra il Po e alcune persone che sul Po vivono o lavorano, o hanno vissuto e lavorato.
E in realtà non ho propriamente deciso di fare tre film sul Po, ho iniziato e continuato a girare per molto tempo situazioni molto differenti, con un approccio molto differente. E, rivedendo il girato, mi sono resa conto di avere tre modi - tutti significativi e autonomi - di raccontare la vita del e sul fiume.
Il 20 luglio Cristina Battocletti ha definito il Delta del Po il suo Heimat, la terra originante/formante a cui sempre si torna. Lei per prima ha definito se stessa e suo fratello Vittorio gente di fiume: qual è la peculiarità di questo sentire? In che modo ha influenzato la regia di Per soli uomini, Il pesce siluro è innocente e il terzo film, attualmente in lavorazione?
Certamente il Po è il luogo del mio primo incantamento, non si dimentica e, anzi, più passa il tempo, più vi si ritorna.
Poi la vita mi ha portato a Milano, da molti anni, e Milano è il luogo della mia formazione professionale, e quindi anche umana. Forse un giorno sentirò il bisogno di dare forma a questa ulteriore Heimat.
Spesso in entrambi i film le figure umane sono sfocate mentre il paesaggio è nitido - o viceversa - a suggerire un ritorno a quell'equilibrio, a quella commistione tra uomo e natura la cui perdita sta determinando il lento ma progressivo declino del nostro patrimonio ambientale e paesaggistico: è una scelta stilistica voluta? Ha il significato che ho voluto trovarci?
Per soli uomini, soprattutto, racconta l'appartenenza di tre uomini a una valle. È una appartenenza spaziale, anzitutto, alla fisicità dei luoghi, all'acqua, ai canali, alla temperatura, al clima, alle distese di orizzonte. Se stilisticamente sono riuscita a dare forma a questo intento, ne sono lieta.
Per soli uomini e Il pesce siluro è innocente sono due film molto diversi: prevalentemente girato al chiuso, concentrato sul percorso unitario dei tre pescatori che controllano la temperatura dell'acqua, il primo; prevalentemente girato in spazi aperti, suddiviso in tre episodi distinti, scandito da brani letterari nonché più breve (60 minuti contro 86) il secondo. A cosa sono dovute tali differenze?
È dovuto alle cose stesse. La misura è decisa dalle cose rappresentate. Lo spazio chiuso della valle e il lavoro dei tre valligiani sono caratterizzati dalla durata. E questa durata protratta, identica a se stessa eppure caratterizzata da una estrema mobilità è ciò che lo spettatore deve vedere. In tempi più antichi, ma anche oggi, i valligiani rimanevano anche diverse settimane senza uscire mai dalla valle, senza rivedere le famiglie, badando a tenere in vita i pesci. Era una vita dai tempi monacali, insomma. Cosa che non accade ai pescatori di vongole, agli allevatori di cozze, o ai pescatori di anguille.
Durante il dibattito al cinema Mexico si è molto argomentato di bellezza e lei a un certo punto ha sostenuto di non aver cercato i tramonti (a differenza, ad esempio, di suo padre). Di aver accolto quanto trovato, anche quando - soprattutto quando - grigio, apparentemente squallido, perché in tali elementi, "brutti" agli occhi dei più, lei scorge invece un'insopprimibile bellezza. Cos'è allora per lei la bellezza? Dove la trova di solito?
La bellezza si presenta da sola e la si riconosce quando accade. Ha una dimensione storica, capricciosa, volubile, ma anche una autorità che non ammette discussioni. Nei film non ho cercato la bellezza, ho mostrato la vita lungo un fiume. Che poi si impone a me come bellezza.
I titoli di coda di Il pesce siluro è innocente sono accompagnati dalle riflessioni di suo fratello Vittorio, improvvisate mentre stavate girando per i luoghi raccontati nel film: quale tipo di scambio intercorre tra voi due, sul piano professionale?
Pochissimi rapporti diretti, eppure moltissimi. A parte i suoi libri, che pubblico e curo da Bompiani (sono molto belli e vanno molto bene), ci seguiamo a distanza (neppure troppa) anche perché non è possibile seguire tutto quello che fa Vittorio e lui non potrebbe seguire tutto quello che faccio io. Però siamo attenti l'uno all'altro? Ci ammiriamo a distanza.
Com'è nata la collaborazione con Franco Battiato e come si è svolta? Ha partecipato all'intero processo produttivo dei film, lasciandosi influenzare da storia e riprese, oppure ha lavorato sulla base di suggestioni?
No mai. Franco entra a riprese effettuate, montaggio pressoché concluso, ma non vede nulla. Io non parlo molto, anzi non dico quasi nulla se non pochissime suggestioni. Sulla base di quello, lui compone. Non ha bisogno di parole, il suo intuito è assoluto.
Poi, una volta visto il film, mi dà alcune indicazioni fondamentali sul mix audio, sul silenzio.
In Il pesce siluro è innocente Michela Cescon interpreta le parole di Fabio Genovesi, Premio Strega Giovani con Chi manda le onde, uomo del Tirreno che ha saputo rendere il Po attraverso la felice, fulminante metafora delle anguille: sguscianti e impalpabili come i sentimenti, come il Delta del Po stesso e la sua ambigua beltà. Le parole di Fabio traggono valore dalle sue immagini, e le sue immagini acquistano un ulteriore spessore grazie alle parole dello scrittore. In un periodo in cui il cinema risente della scarsità di sceneggiatori validi, quale vantaggio potrebbe trarre il cinema dalla collaborazione con gli scrittori?
È da molti anni e molti film che intendo il rapporto tra letteratura e cinema senza che la prima sia ridotta a strumento di servizio per la seconda, sia cioè sceneggiatura.
Credo molto nella potenza visiva della letteratura.
Come e perché è diventata regista?
Non saprei, è un bisogno che si è rivelato in modo irresistibile. Poi è coinciso con un momento difficile della mia vita professionale, di editore.
I suoi registi di riferimento?
Consapevolmente, direi Aleksandr Sokurov, Lav Diaz, Manoel de Oliveira. Mi piace il loro rapporto tra tempo, parola, immagine.
Secondo lei Milano, dal punto di vista drammaturgico ma anche meramente pratico, è una città cinematografica?
Lo è stata dunque può esserlo. Mi spiace che, a un certo punto della sua storia, abbia smesso di investire sul cinema, a livello produttivo, di mercato.
A proposito di Milano, si è appena conclusa la sedicesima edizione di La Milanesiana, che per l'ennesimo anno ha offerto alla città una ricchissima teoria di eventi con ospiti straordinari: lei l'ha inventata e la dirige, quali sono le maggiori difficoltà che incontra nell'organizzazione? Milano è una città per la cultura? Può aspirare a essere considerata una grande città Europea? Com'è stata la risposta dei cittadini?
La difficoltà è sempre quella di trovare risorse sufficienti alla costruzione di un programma all'altezza di Milano. Milano è città difficile, perché accadono molte cose, perché culturalmente l'offerta è ampia e i milanesi sono persone avvertite e con profondo senso critico. Quindi ci si deve confrontare con molte realtà culturalmente importanti, con risorse sempre meno disponibili per la cultura e con l'esigenza di un programma sempre "alto".
Quali sono gli ospiti che è stata più soddisfatta di portare a Milano e quali sono quelli che vorrebbe portare nelle prossime edizioni di La Milanesiana?
Portai Terrence Malick, alla seconda edizione. L'incontro tra Carmelo Bene e Muti, alla prima edizione. I Premi Nobel per la Letteratura. I grandi registi, anche dall'Oriente: Tsukamoto, Tsai Ming-Liang. Quest'anno Bertolucci. Ci sono registi che vorrei invitare, uno fra tutti Eastwood.
In quanto direttrice editoriale di Bompiani, come considera l'attuale stato dell'editoria italiana? Qual è la sua ricetta per garantirne la sussistenza, sia in termini di quantità che di qualità, e migliorarne la prospettiva?
Domanda complessa. Ho lanciato un dibattito sul settimanale Sette del Corriere della Sera. Dibattito ancora in corso.
Progetti (editoriali, milanesiani, registici) futuri?
Moltissimi. Molti bei libri già a settembre. Poi progetti cinematografici.
Cosa c'è sul suo comodino?
Il nuovo libro di mio papà che uscirà in settembre. E poi le prime copie dei più recenti libri Bompiani, che guardo di notte prima che vengano distribuiti in libreria.
Se un marziano atterrasse ora sulla Terra, le capitasse di incontrarlo e le chiedesse chi è Elisabetta Sgarbi, cosa gli risponderebbe?
Una aliena a se stessa.
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