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Autore Rita Andreetti :: 17 Marzo 2015

Parte l’appello ufficiale dal Governo della Cina rivolto a tutti i registi per un contributo culturale alla campagna contro la corruzione avviata da Xi Jinping

A touch of sin

Che per essere registi in Cina ci volesse una bella scorza, era chiaro già da un po’. Ma l’ultimo appello emesso dal Governo Cinese porta davvero a mettersi le mani nei capelli: è arrivato il momento cioè di inserire nei film anche la questione della corruzione, in modo da sensibilizzare il pubblico al tema e mettere in luce gli enormi sforzi che la Cina sta facendo per debellare questo male. Ovviamente, rimanendo ben attenti a tutti gli altri temi tabù!

“Lo scopo del fare film anti-corruzione è quello di usare la cultura per sopprimere la corruzione, far sì che il pubblico sappia che la cultura può punire il cattivo e premiare il buono, prendersela con il brutto e promuovere la giustizia” ha dichiarato al Beijing Morning Post Wang Xindong, consigliere del Governo di Pechino.

E se il diligente regista cinese si mette a parlare di corruzione e gli scappa anche una scena bella violenta come in un thriller che si rispetti? E se invece quell’altro collega si prodiga in una trasposizione di un fatto realmente accaduto e finisce per scoperchiare un vaso di Pandora di segreti e bugie? E cosa invece se un altro nome che si rispetti si mette in testa di rappresentare sì la corruzione, ma quella dei piani alti?

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No, la partita non è per nulla facile. Dal momento che il Governo richiede un impegno ai registi, operatori dei media che sono tra i più delicatamente esposti alla scure censoria, rimane piuttosto controverso il dualismo tra quel che si può o non si può dire, del come si può rappresentare o meno la corruzione che a tutti gli effetti permea ad ogni livello la società cinese. Questo perché ancora oggi il sistema di rating cinese è abbastanza carente, ed è facile incorrere in indiscutibili tagli se c’è troppo sangue o troppi corpi nudi, allo stesso modo di come la censura abbatte i temi tabù. Tra cui, neanche a dirlo, fino ad un po’ di tempo fa stava pure la corruzione degli uomini di Partito.

Prendiamo una tra la migliori produzioni dello scorso anno ad esempio, Il tocco del peccato: lì sì che ce n’era di corruzione, con i poveri lavoratori portati alla follia del gesto estremo da un'inaccettabile struttura di omertà. Tuttavia, la Cina non ha lasciato che il film di Jia Zhangke fosse distribuito nelle sale, ufficialmente perché vi aveva letto una diseducativa forma di incitamento alla violenza.

Adesso però che l’impianto costruito dal Primo Ministro Xi Jinping per una ufficiale e diffusa lotta alla corruzione deve dare i suoi frutti, ecco comparire un appello che punta dritto alla macchina mediatica, cosciente del potere che la stessa può avere sulla testa della gente. Da un lato, infatti, c’è lo spettro delle vicende che hanno interessato un politico di spicco come Bo Xilai (molto pericoloso per lo stesso potere centrale), e dall’altra ci sono i recenti arresti all’interno dell’industria dei media stessi.

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Tuttavia, pare più probabile che cogliere la sfida lanciata dal Governo nel trattare di corruzione, ma senza naturalmente mettere in cattiva luce gli alti ranghi del Partito, sia quanto di meno suggeribile ai registi: i coraggiosi di questo spessore sono rintracciabili soltanto tra coloro che più spesso hanno in passato rischiato la censura. Oppure, tra produzioni minori che non avranno mai le forze per accedere alle sale (e citiamo ad esempio Burned Wings di Zheng Kuo).

Insomma, la tentazione di poter liberamente parlare un po’ di questo cancro della società cinese è grande, ma la posta in gioco è come al solito troppo alta. Vediamo chi saranno i temerari disposti a scendere in campo.

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