Recensione di The Bad Batch | Un passo indietro per la Amirpour, ma l'incanto rimane [forse]
Festival di Venezia 2016: finalmente proiettata l'opera seconda di Ana Lily Amirpour, "The Bad Batch", con Suki Waterhouse / Jason Momoa / Jim Carrey e Keanu Reeves. Qui la nostra recensione
Il miracolo non si ripete due volte per Ana Lily Amirpour, che solo nel 2014 esordiva col bellissimo A Girl Walks Home Alone at Night, gemma indie capace di mescolare in un unico pacchetto evocazioni western e orrorifiche, romance e pulp, Wong Kar-wai e i White Lies. Il tutto, con uno stile genuino fatto d’immagini e suggestioni magnetiche iniettate dritte tra le vene senza possibilità di scampo. Con The Bad Batch l’autrice prova a proseguire sulla medesima strada: al posto di vampiri abbiamo dei cannibali, e il contesto è più o meno lo stesso, ovvero un mondo fantasmatico e la nascita di un possibile nuovo sentimento. Innamorarsi, forse.
Dopo il successo di A Girl Walks (vincitore di numerosi premi in svariati Festival internazionali), ad aumentare sono il budget e i mezzi produttivi: non solo stavolta la cineasta può contare su un cast stellare che comprende, tra gli altri, Jason Momoa / Jim Carrey / Keanu Reeves, ma ha anche a disposizione scenografie e props che paiono uscite direttamente da un capitolo di Mad Max. Tutto molto cool (lo steampunk è – da sempre – un immaginario seducente), ma all’aumento del budget non corrisponde necessariamente quello dello stupore: The Bad Batch non è un passo in avanti, ma un evidente arretramento in quanto a carisma e fascino.
Ad essere meno incisivo, in verità, è proprio l’interazione tra i due protagonisti principali, il cui scontrarsi nevromantico manca di pulsazione sanguigna ed ectoplasmica poesia. Ricordate la bellissima scena con sottofondo Death dei White Lies in A Girl Walks? Ecco, sequenze così totali e definitive, qui non ce ne sono. La Amirpour fa annusare (si veda il momento della tempesta di sabbia con Momoa e la Waterhouse sotto coperta) ma non riesce a colpire fino in fondo, e ad apparire un po’ sprecati, talvolta, sono gli stessi character (quello di K. Reeves su tutti).
[Leggi anche: Recensione di A Girl Walks Home Alone at Night | Un vampiro nel silenzio delle notti iraniane]
A rimanere è comunque (ancora una volta) un’affascinante rilettura del genere evidenziata dall'animo indie-rock della Amirpour, che pur avendo incontabili difetti e limiti - riesce nel mantenere una sua visione non priva di fascinazione e curiosità. Il dolore nel cuore per la parziale delusione rimane forte, ma vogliamo prenderci ulteriore tempo [di confusione sentimentale] per dare una sentenza definitiva. Forse, al terzo film capiremo finalmente se quello per la Amirpour sia vero amore o solo passeggera infatuazione.
Voto della redazione:
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