Recensione di Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I | La rivoluzione passa dai media
Recensione di Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I con Jennifer Lawrence | Prima parte dell'ultimo capitolo della trilogia della Collins, Il canto della rivolta si attesta come preparazione del terreno per lo scontro finale
Nel 2012 Hunger Games si era affacciato nel mondo del cinema young adult come pellicola scardinante di un genere appartenente a vampiri, maghi e adolescenti in calore con smanie di epico protagonismo. Il lato sovversivo della saga, prima letteraria, di Suzanne Collins consisteva nel tentativo di ancorare il teen fantasy a temi più o meno impegnati, ambientando il gioco al massacro in un mondo distopico in cui la poverissima popolazione di Panem è governata orwelliamente dal dittatore-gentiluomo Snow (Donald Sutherland). Pur non avendo spunti completamente originali – gli echi non troppo distanti vanno da 1984 fino a The Truman Show, passando per Harry Potter – i primi due film contestualizzavano la spettacolarizzazione della morte in un talent estremo, strumento di distrazione delle masse assopite e aggiogate dai poteri alti e manipolatori.
Il canto della rivolta, il secondo diretto da Francis Lawrence e ispirato all'ultimo libro della trilogia, sembra non voler perdere i suoi sottotesti di riflessione sociale; comodamente diviso in due film come incassi comandano, supera definitivamente i giochi e inizia la rivoluzione: distrutto il Distretto 12, i suoi abitanti vengono accolti dal 13, rifugio dei ribelli guidato dalla Presidentessa Coin (Julianne Moore). Katniss (una spenta Jennifer Lawrence), stremata dalle ultime eroiche fatiche e lontana da Peeta, prigioniero a Capitol City, viene eletta a volto ufficiale della rivolta, portavoce passiva di una vera e propria campagna di marketing per la liberazione di Panem. La forza di questo Hunger Games, senza Hunger Games, privo di un vero e proprio climax, probabilmente rimandato al capitolo finale, risiede esattamente nel suo discorso meta-cinematografico: con un atto di coscienza, svelatore degli stessi meccanismi di costruzione di un blockbuster quale esso è, viene fuori il farsi del film e della sua eroina, attraverso la messa in scena di tutte le fasi di creazione. Così una troupe segue Katniss (di nuovo, come in un reality) durante le sue imprese, la riciclata Effie (Elizabeth Banks) ne cura i costumi, un sobrio Haymitch (Woody Harrelson) gli slogan mentre Plutarch (Philip Seymour Hoffman) ne diviene praticamente il manager, produttore di un mito da diffondere attraverso gli schermi, video di propaganda che assomigliano a trailer (che assomigliano a quello reale di Hunger Games), siglati con il simbolo della Ghiandaia Imitatrice.
[Leggi anche: "Hunger Games 3 parte 1 - Il canto della rivolta": differenze rispetto al libro]
E se Snow ne vieta l'imitazione e la riproduzione dell'immagine, Katniss diviene involontariamente l'icona che ogni rivoluzione adotta, “la ribelle meglio vestita della storia”, insieme anche alla sua canzone. Ogni tassello è quindi perfettamente studiato per conquistare le masse e convincerle alla ribellione, senza però voler intaccare l'immagine di spontaneità della propria eroina, e di conseguenza del film stesso, che non riesce purtroppo ad approfondire la differenza tra i poteri, quello politico e quello del cinema.
Per il resto, Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I scorre senza intrattenere troppo, con i suoi protagonisti confinati alla stasi fisica ed emotiva nel buio sotterranei in attesa dello scontro diretto dell'ultimo capitolo.
Voto della redazione:
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