Recensione di La felicità è un sistema complesso | Un film perso tra i suoi funambolismi
Recensione di La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi con Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron: chiare intenzioni e buoni segmenti rovinati da virtuosismi eccessivi, onirismi ingombranti in un'inadeguata ricerca di stile
Presentato nella sezione Festa Mobile al Torino Film Festival, La felicità è un sistema complesso segna il ritorno alla regia di Gianni Zanasi a otto anni da Non pensarci: con Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston è un apprezzabile ma non riuscito tentativo di distaccamento da molti canoni della commedia drammatica nazionale.
Una libertà inaspettata è quella verso cui tendono i protagonisti. A partire da un regime fatto di aziende, dislocazioni, avvocati, eredità, denaro, cravatte, regole e prassi quasi santificate e divieti, il film vuole dare sfogo alla necessità di levitazione e di evaporazione, vuole essere una vertigine lungo la quale descrivere un perdersi/ritrovarsi umani, in un autentico deprezzamento della realtà, nel diluirsi della coscienza, nello scivolare verso un rinnovo di se stessi.
[Leggi anche: Torino Film Festival 2015, buona partenza]
Chiarissimo negli intenti, Zanasi mira a rompere determinate gerarchie nella struttura del suo film, cerca una forma spirituale, ritrovandosi però vittima di una pulsione sovraccarica tanto visivamente quanto concettualmente. Nella ricerca di un "salto" rispetto ai codici narrativi squadretta situazioni dilatate e distorte, ricercate e rese complesse da una tendenza alla farcitura evocativa che non riesce in nessun momento ad elevare il materiale di partenza, con momenti costruiti attorno all'idea artefatta di un pop aulico non dissimile, almeno a livello di meccanicità, a quelli di Xavier Dolan o Paolo Sorrentino.
Un paragone che può apparire acido, ma che ben rappresenta la rischiosità delle scelte di Zanasi che non riesce ad appropriarsi del tutto di determinati strumenti, passando in pratica da un canone (più legato al reale e all'ironia) ad un altro (che si autoimpone uno stile) fino alla coniugazione dei due, dove è però sempre il primo a risaltare positivamente nella pellicola, mal amalgamato col resto, che troppe volte rimane tra il superfluo e l'insensato andando a costituire più un'assenza/interruzione che una sensazione, frenando invece che spingendo il film.
Se da una parte La felicità s'affida (benissimo) all'interpretazione di Mastandrea, per la stragrande maggioranza dei segmenti è la regia ad imporsi tra parallelismi, onirismi, pittoricità guidate dalla convinzione di poter riuscire a far deflagrare il racconto in un'astrazione. Zanasi è alla continua ricerca di un trasporto virtuoso, che risulta inconcludente; riprova di quanto ogni esuberanza stilistica (o, ancor prima, tecnica) non abbia valore di per sé, soprattutto quando - oltre a non riuscire a dare un effettivo sostegno al materiale di partenza - evapora in minutaggio inconcludente.
[Leggi anche: Oscar 2016: Non essere cattivo di Claudio Caligari e prodotto da Valerio Mastrandrea rappresenterà l'Italia]
La dimensione cercata da La felicità è un sistema complesso è, sotto questa pelle arty sottile e quasi invisibile, ben lontana dal risultato effettivo. Assistiamo a una commedia in cui il discorso scivola con indifferenza tra i cambi di registro e dove i personaggi svaniscono in un rallenti di troppo, in un indugiare eccessivo, presi in un'architettura in cui le componenti si danno le spalle l'una con l'altra; in cui il salto, l'elevazione, la liberazione agognata non riescono a palesarsi e diventare ciò che vediamo accadere o a dare un'impronta definitiva ad un film infine sbilanciato tra tutti i suoi funambolismi.
Voto della redazione:
Altri articoli che possono interessarti
Per condividere o scaricare questo video: TV Animalista
Facebook Comments Box