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Autore Giulia Marras :: 10 Febbraio 2016
Locandina di L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo

Recensione di L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo | Nell'impeccabile interpretazione di Bryan Cranston, il biopic dello sceneggiatore della Black List anticomunista convince a metà, confezione semplicistica ma perfetta per l'Academy

Dalton Trumbo era allo stesso tempo un capitalista e un comunista, un operaio del cinema e un idealista, già contraddizione fondante della natura ostinata e fallace del cinema medio hollywoodiano stesso, industria e sogno, denaro e arte. Essenza antitetica alla quale non si sottrae neanche questo “spavaldo ma non troppo” biopic sul più famoso sceneggiatore della lista nera delle Attività Antiamericane durante la Guerra Fredda, girato da Jay Roach, proveniente dagli ambiti distanti di Ti presento i miei e Austin powers. Bryan Cranston, candidato quasi per metonimia per il ruolo all'Oscar, si immerge con la sua solita dedizione, nel corpo però svuotato e praticamente de-politicizzato di Trumbo, più a suo agio nella vasca da bagno dove lo sceneggiatore comunista amava scrivere che nell'aula di tribunale delle sequenze che ricostruiscono in un posticcio bianco e nero i processi ai “dieci di Hollywood”.

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Gli scenari degli scioperi degli operatori del cinema, tra i quali Trumbo si schierava con orgoglio, lasciano infatti fin troppo presto lo spazio ai drammi familiari del periodo dell'esilio, quando ormai ci si è già dimenticati degli ideali incriminati e l'attenzione si circoscrive così ai tentativi di sbarco del lunario dello sceneggiatore senza nome, senza patria, senza alleati. L'unica minaccia rossa a resistere è la lotta al diritto al lavoro, da ritrovare in mezzo alla convulsione anfetaminica e virtuosistica del protagonista, negli scontri passionali eppure asettici con i compagni di lista – Louis C.K. ha malauguratamente il personaggio meno riuscito di tutti, basato su cinque diversi sceneggiatori realmente esistiti e proscritti – e negli ancora meno interessanti confronti con la figlia Nikola (Elle Fanning).

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Ma esattamente in linea con il paradosso hollywoodiano celato al suo interno, recisi i contratti con la major che resero Trumbo lo sceneggiatore più pagato dell'anteguerra, dimenticati i drammi anti-bellici e i socialismi educati dei primi titoli, la forza sovversiva esplode insperata nella proletaria e insolente industria del cinema di serie B. Egualitaria nel concedere agli esiliati la possibilità d'espressione negata, rappresenta la chiave di svolta da cui la pellicola risorge proprio mentre Trumbo riesce infine a riabilitarsi, pur sempre nell'anonimato, a scrivere i suoi film più celebri e premiati (in ritardo): La più grande corrida, Vacanze Romane e poi Spartacus ed Exodus. Ed è l'immancabile John Goodman a incarnare il riscatto dal basso più propriamente cinematografico, quello dal genere, di contro all'eroismo stagnante e dannoso del modello conservatore americano tipico a la John Wayne, allora Presidente dell'Alleanza Cinematografica per la Tutela degli Ideali Americani.

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Goodman e Christian Berkel, che dà vita a un'esilarante apparizione di Otto Preminger, sono le uniche risorse inaspettate e rimarcabili di un'affabulazione impeccabile ma semplicistica di una storia vera, come quella dell'ossessione anticomunista americana, ancora scottante per essere affrontata senza scavalcarne le criticità. La stessa storia di Dalton Trumbo finisce per raccontare l'espiazione di un senso di colpa che all'epoca i più hanno condiviso e che ancora esorcizzano, soprattutto tramite il cinema, lo stesso medium che fu eccezionalmente colpito e depurato, “colpevole” di influire sull'immaginario e sulle idee, oggi compito auspicabile e primario.  

Trailer di L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo

Voto della redazione: 

3

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