Recensione di Stonehearst Asylum | L’anonimo manicomio di Brad Anderson
Recensione di Stonehearst Asylum: Il regista di culto Brad Anderson torna con un thriller in cui pazzia e sanità si confondono, ma è più impersonale e piatto che mai. Presentato nella sezione Mondo Genere del Festival di Roma 2014
Il giovane quasi-dottore Edward Newgate giunge al remoto manicomio di Stonehearst per un tirocinio fianco a fianco con il direttore, l’ambiguo Silas Lamb, i cui metodi e idee controverse (egli non ha intenzione di guarire i malati per reintegrarli nel sistema) lo spingono a sospettare di lui, per poi incappare in una scioccante scoperta.
È dal sopravvalutato Session 9 che ci domandiamo come mai Brad Anderson sia considerato regista horror-thriller di culto: fatta eccezione per L’uomo senza sonno, in cui le turbe psichiche di uno scheletrico Christian Bale erano efficacemente riprodotte in una messinscena da incubo avviluppante, Anderson si è mantenuto su standard medi-ocri (The Call, Transsiberian), riscattandosi parzialmente solo nella direzione di alcuni episodi di buone serie tv (The Killing, Fringe, Boardwalk Empire). Non fa eccezione, anzi ci conferma la perplessità su questo mestierante, Stonehearst Asylum, che sfigura nella sezione Mondo Genere di questo 9° Festival di Roma accanto a sorprese come Tusk di Kevin Smith e A Girl Walks Home Alone at Night di Ana Lily Amirpour.
[Leggi anche: American Horror Story - Freak Show: Signore e Signori benvenuti all'inferno]
C’è da dire che Anderson si ritrova nella sfortunata coincidenza di ambientare il suo film in un manicomio arrivando poco dopo l’exploit della seconda stagione di American Horror Story (intitolata proprio Asylum), vertice orrorifico che sfruttava la sua location su tutti i livelli possibili e immaginabili (contesto compreso: storico, sociale, politico, religioso) decretando un punto di non ritorno, una vetta e pietra di paragone insuperabile per qualsiasi altro horror che ritornasse su quei luoghi. A confronto, l’anonimato e la piattezza con cui il ricovero di Stonehearst e i suoi abitanti sono utilizzati causano incontrollati attacchi di nostalgia in qualsiasi spettatore. Ma anche a chi non sia fan della straordinaria serie di Ryan Murphy, il thriller di Anderson apparirà inesorabilmente un prodotto moscio, un’occasione sciattamente persa, con la sua regia impersonale, i suoi interpreti a rifare se stessi (Caine e Kingsley) quando non al limite della cagneria (la Beckinsale), con la narrazione che procede masticando meccanismi comuni e una costruzione della tensione sotto lo zero.
E se pure il colpo di scena che risolleva qualche palpebra ha del geniale, è interessante e ricco di spunti, il merito è tutto del racconto di partenza di Edgar Allan Poe – Il sistema del dr. Catrame e del prof. Piuma – e la sua presenza contribuisce, per contro, ad aumentare il senso di delusione e potenziale inespresso per come il discorso (sulla pazzia, sul confine tra delirio e istinto di autoconservazione, sulla pace nella follia e il dolore infinito nella normalità), viene loffiamente sviluppato. Insomma, per una volta, l’invito è chiaro: disertate il nostro amato cinema e recuperate in tv l’opera horror (non solo seriale) migliore degli ultimi anni.
Voto della redazione:
Altri articoli che possono interessarti
Per condividere o scaricare questo video: TV Animalista
Facebook Comments Box