Ritratto di Annalina Grasso
Autore Annalina Grasso :: 28 Giugno 2014

Assia Noris in Un colpo di pistola di Renato Castellani

Anastasia Noris Von Gerzfeld (26 Febbraio 1912, San Pietroburgo-27 Gennaio 1998, San Remo), in Italia meglio conosciuta come Assia Noris ha rappresentato la ragazza ideale, quella della porta accanto, allegra e dolce, del Ventennio fascista, del cosiddetto cinema dei telefoni bianchi in quanto nelle sequenze dei film compaiono telefoni di colore bianco, presenza sintomatica di benessere sociale: uno status symbol. Cresciuta in Francia in una nobile famiglia, in seguito alla  fuga dei genitori dalla Russia per lo scoppio della rivoluzione bolscevica, si stabilisce in Italia all'inizio degli anni Trenta, e qui esordisce con il film Tre uomini in frack (1933) di Mario Bonnard.

Bella, dai tratti somatici delicati, colpisce Mario Camerini, il regista più importante insieme ad Alessandro Blasetti del Ventennio, il quale oltre ad avviarla al successo facendola recitare in nove dei suoi film, sarà suo marito dal 1940 al 1943. La Noris fatica prima di raggiungere l’agognato successo che arriva nel 1935 accanto a Vittorio De Sica in Darò un milione, spassosa commedia zavattiniana che ha ispirato anche l’hollywoodiano Chi vuole un milione? del 1938.

La Noris recita anche accanto ai fratelli De Filippo in Quei due (1935) tratto da un atto unico di Eduardo; affianca ancora De Sica nella divertente e garbata commedia di Mario Mattioli L’uomo che sorride (1936) dove interpreta una capricciosa e viziata ragazza e, nello stesso anno, in Ma non è una cosa seria tratto da una commedia di Pirandello, per la regia di Camerini e in Il signor Max (1937), premiato a Venezia, intelligente commedia in bilico tra realismo piccolo-borghese e il cinema dei telefoni bianchi. Qui la Noris interpreta Lauretta, cameriera corteggiata fintamente da Gianni (De Sica) che invece mira a  Paola, donna abbiente conosciuta durante una vacanza.

Assia Noris è a suo agio nei film di Camerini dove prevale l’ottimismo, l’equivoco divertente, l’umanità: l’attrice, con la sua espressività e candore, incarna perfettamente la ragazza ironica ma al contempo malinconica, garbata e semplice, di sentimenti onesti e puri, insomma la fidanzata d’Italia di quegli anni. La Noris è richiesta anche da registi stranieri. Nel 1938 Max Neufeld la sceglie come protagonista, insieme ad Alida Valli ed Amedeo Nazzari per La casa del peccato, Abel Gance per La maschera sul cuore (1942) e Luis Daquin per I viaggiatori d’Ognissanti (1942). Ma è in Italia che l’attrice russa dà il meglio di sé, e nel 1939 veste i doppi panni di una capricciosa diva del cinema e un’operaia, sua sosia che la sostituisce davanti la macchina da presa in Dora Nelson, pellicola dalla tipica atmosfera dei telefoni bianchi per la regia di Mario Soldati. Dello stesso anno sono anche la commedia sentimentale firmata ancora da suo marito Mario Camerini, Grandi magazzini, in cui la Noris è Lauretta, commessa accusata di furto e amata dall’autista Bruno (l’immancabile Vittorio De Sica) e Batticuore, pellicola di alta classe e sofisticata ironia diretta da Camerini con una “crepuscolare” Assia Noris.

Negli anni successivi nella vita artistica dell’attrice domina ancora la figura di Camerini che la dirige in un doppio ruolo, quello di madre e figlia, Annetta e Angioletta, in Una romantica avventura tratto dal racconto di Thomas Hardy  accanto a Gino Cervi e Massimo Girotti e nel meno riuscito Centomila dollari. L’ultimo film in cui Camerini dirige la moglie è Una storia d’amore, melodramma insolito per il regista che rinuncia al suo consueto stile per affrontare una vicenda drammatica con risvolti psicologici. La Noris non brilla.

Nel 1941 la bella attrice non è più Lauretta, Annetta o altri vezzeggiativi che fanno pensare ad una ragazza ingenua, onesta e semplice, ma in Con le donne non si scherza di  Giorgio Simonelli è Eva, una ragazza che, respinta come nuora del futuro suocero poiché figlia di una donna nubile, trova ospitalità in casa di un anziano scapolo in maniera da procurarsi un padre. Nel 1942 è Mascia, donna contesa da due uomini, per l’esordiente Renato Castellani nel calligrafico Un colpo di pistola. Nel 1945 è una delle sette ragazze uscite da un convento alle prese con la vita in Nessuno torna indietro, film dell’altro grande protagonista del Ventennio, Alessandro Blasetti, passato in sordina e che segna l’ultima apparizione della coppia Noris-De Sica.

In verità, il ruolo della donna tormentata e fatale poco si addiceva alla Noris come dimostrano i suoi ultimi film; la stagione dei telefoni bianchi era terminata, (il cinema neorealista prendeva piede, e cercava attori della strada, non divi), così come la carriera dell’attrice che a differenza della maggior parte dei suoi personaggi, era una donna ambiziosa, a confermare questo suo lato caratteriale vi è il ruolo di collaboratrice con Goebbels, il potente ministro della Propaganda di Hitler molto sensibile al fascino femminile il quale fece della bionda ed eterea Assia, immagine della razza ariana, un’interprete nel ruolo che spiega bene la funzione che le dive dell’Asse Roma-Berlino erano chiamate a svolgere, in nome di quella scellerata fratellanza ideologica tra l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista.Tuttavia pare che la Noris rifiutò la proposta da parte del dittatore nazista di recitare per il cinema di stato tedesco. Ambiziosa, tormentata ed esigente anche nelle scelte sentimentali, l’attrice infatti si sposò più volte con uomini facoltosi.

Nel 1965 Assia Noris gira il suo ultimo film, Celestina P… R... per la regia di Carlo Lizzani, nei panni di una donna  che gestisce una casa di appuntamenti, immagine quindi, ben lontana da quelle dei suoi primi ruoli.

Senza dubbio Assia Noris è entrata per molto tempo nei cuori degli spettatori italiani, le ragazze si sono identificate nei suoi personaggi e hanno seguito il suo legame e sodalizio con Mario Camerini, ma l’aspetto che suscita maggior interesse è legato al suo ruolo di madrina dell’Asse, il suo essere, come tutte le attrici di regime, oggetto di un culto popolare, al servizio di un nuovo mito che aveva bisogno anche del talento degli artisti per comunicare la propria grandezza.

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