Si è svolta presso la Casa di Alice, la masterclass con Jean Pierre Jeunet, celebre per il film "Il favoloso mondo di Amelie". All'interno del Festival di Roma, il regista francese ha presentato "Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet".
Si è svolta la masterclass con Jean Pierre Jeunet, regista celebre per il Favoloso mondo di Amelie, che ha presentato Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet nella sezione "Alice nella città", del Festival Internazionale del Film di Roma. Abbiamo ripercorso insieme gli inizi della carriera che coincide molto con la sua vita, fatta di sogni e genuinità, tanto che più volte ha ripetuto: “dovete amare quello che fate. Non dimenticate il piacere di fare”.
Quale è stato il primo film che ha visto e che lo ha portato a scegliere questo mestiere?
Io ho iniziato a fare cinema ancora prima di iniziare ad andarlo a vedere in sala. Ho iniziato a nove anni. Il piacere e la voglia di fare le cose è fondamentale. Spesso i ragazzi mi dicono che vogliono diventare registi. Io chiedo loro se vogliono fare cinema o essere regista. Sottolineo sempre tra fare ed essere. Quindi, mi viene voglia di dirvi che se avete voglia di lavorare nel cinema, buttatevi! Il problema oggi non è tanto realizzare un film, l’attrezzatura è più facile averla. Il punto è la tecnica che spesso manca. Poi, se avete delle idee buone, potete parlarne con me.
Quando prende il via la sua carriera?
Con i film d’animazione, scoperti durante alcuni festival, che poi era anche più facile realizzarli, bastava stare a casa mia, magari in cucina, cosa che ha fatto anche Tim Burton. E poi sono passato alla realtà e così ho iniziato a fare film, il primo l’ho realizzato con un piccolissimo budget. Poi sono passato ai video-clip e poi da questo ho realizzato degli spot pubblicitari, grazie ai quali ho conosciuto un produttore. Però sono trascorsi circa dieci anni dal primo vero film.
Jean Pierre Jeunet ha spiegato che è lui stesso che disegna e compone lo storyboard, e ne ha dato prova, togliendo dalla tasca il suo smartphone mostrando al pubblico presente i disegni di ogni suo film. Un uomo sognatore che porta nei film quella stessa fantasia che ha in sé.
Quanto è importante per l’adulto raccogliere i sogni dei bambini, capendoli e ascoltandoli? Perché, ci sembra di capire che questa sensibilità sia presente nei suoi film…
In realtà il sogno ha senso come metafora della fantasia e dell’immaginazione. Francamente i sogni in sé non sono interessanti, forse soltanto se trattati dagli psicanalisti. Ciò che a me interessa veramente è la fantasia. Quello che mi piace del cinema è che è il regista che deve dare una sua visione del mondo. Il cinema realista non mi importa, se devo descrivere la realtà, preferisco girare un documentario. Anche se in Francia il cinema del reale piace molto. Io invece mi vedo più come un pittore, mi piace trasformare quello che vedo. Mi sento più vicino a registi come Fellini, Tim Burton, Lynch.
Parliamo della sua esperienza americana con Alien.
Stavo già scrivendo Amelie quando mi è stata fatta la proposta e, tra l’altro, non pensavo che sarebbe andata a buon fine perché innanzi tutto non parlavo inglese. Io ho capito la storia di Alien solo quando ho ricevuto il dvd del film. Ad ogni modo, è stata un’esperienza molto interessante.
È arrivato poi il momento in cui è entrato in gioco il suo complicato rapporto con il produttore Harvey Weinstein: "Io non gli permetto di fare tagli ai film e lui non me lo distribuisce, semplice”. Dunque, anche per il suo più celebre film, Il favoloso mondo di Amelie, a causa di Weinstein il regista non ha ottenuto l’Oscar: “Lui non potè chiedere aggiustamenti perché il film aveva già riscosso molto successo in Europa, però ci fece perdere l’Oscar. Avevo già ricevuto le felicitazioni in una lettera di Steven Spielberg il quale appunto si congratulava per la vittoria. Ma la Miramax ha boicottato la cosa, ha utilizzato metodi non proponibili per promuovere i propri film”.
Jeunet non si vende facilmente, l’ultima parola la deve avere lui e nessuno altro sul film. Infine, ha confessato di aver lavorato per due anni all'adattamento del film La vita di Pi: "Scrissi con il mio collaboratore Guillame Laurent, una versione del libro che piacque molto alla Fox, ma costava troppo. Allora mi chiesero di entrare nella produzione. Purtroppo, a causa del cambio euro/dollaro sfavorevole per gli americani, il costo restava troppo alto. Dopo tutti quei mesi non me la sentii di ricominciare da capo, e uscii dal progetto. Alla fine la Fox si rivolse a Ang Lee che portò il progetto ad un produttore che versò la metà di 150 milioni di dollari. Il mio budget era di 60 milioni".
In chiusura il regista francese ha elencato i film che ogni regista dovrebbe fare: "Almeno un film in bianco e nero, un film che ha avuto successo, uno che ha vinto un César, un film americano e uno che non hai fatto... ".
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