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Autore Rita Andreetti :: 20 Ottobre 2014

Si chiude a Taiwan la nona edizione del festival di documentari più indie dell'Asia, il Taiwan International Documentary Film Festival

In una atmosfera rilassata che ha poco da spartire con i grandi festival delle celebrità ma piuttosto con un prolifico ritrovo tra filmmakers, si chiude il Taiwan Documentary Film Festival. Questo festival, partito in sordina e come piccolo evento biennale, sta via via acquistando credibilità grazie anche al sostegno della Film Commission di Taipei e della regione tutta di Taiwan.

Sale gremite di appassionati in cerca di una finestra critica non solo sull'Asia ma sul meglio della produzione di documentari Cinesi indipendenti (introvabili altrove, pure nella stessa madrepatria), collegata a diverse rassegne anche di respiro internazionale. Tra queste anche Ogawa Shinsuke, uno dei primi documentaristi indipendenti della storia giapponese, che con piglio tanto critico quanto umano ha portato alla cronaca le proteste giapponesi degli anni 60-70 (e non solo).

Da festival interessato alle origini del movimento indie, TIDF ha conferito un premio al movimento Green Team di Taiwan: un manipolo di appassionati e militanti che hanno fatto della testimonianza video il mezzo per documentare la proteste di piazza durante gli anni del regime e fronteggiare il Governo Nazionalista grazie alla diffusione dell'informazione obiettiva.

È con questo spirito che ricevono ben due premi a testa due opere cinesi, realizzate con l'intento, la prima, di portare alla luce la realtà dei fatti storici cinesi, e la seconda, la contemporaneità dimenticata di una città una volta sede di un ampio sfruttamento dei giacimenti e adesso fantasma di un florido passato. Si tratta di Spark del regista Hu Jie, che conquista il Premio al Merito nella competizione asiatica e il Premio della Giuria nella sezione Documentario Cinese; e Yumen del terzetto Huang Xiang, Xu Ruotao e J.P. Sniadecki (quest'ultimo, già regista di Foreign Parts e Demolition) che a sua volta mette d'accordo le due diverse giurie portandosi a casa entrambi i Gran Premi, sezione Cinese e sezione asiatica, sebbene le sue note mescolino lo sperimentale al documentario lasciando la platea a tratti confusa. È evidente che questi premi dimostrano l'esistenza di necessità diffuse, ovvero la riscoperta del passato cinese sotto un profilo finalmente filologico e reale e in secondo luogo una sensibilità verso il tema del rapido progresso della Grande Cina che ha lasciato alle proprie spalle cadaveri urbani dal disastroso impatto sociale. Un respiro di obiettività si fa avanti nelle nuove produzioni della Grande Cina, sfuggendo al controllo politico.

 

 

Nella sezione taiwanese si affermano due documentari di tema completamente diverso, sebbene lo sguardo dedicato sulla società non sfugga ai filmmaker taiwanesi. Il Premio al Merito va a Face to Face di Chung Chuan, che si interessa all'insolito sport del wrestling: una metafora di vita nella capitale taiwanese, per cui questo sport è una assoluta novità e i praticanti quasi degli intrepidi folli. Il premio più importante invece lo ottiene la regista Chen Yu-ching per la sua opera Civil Disobedience: nel suo racconto emerge un fatto di storia estremamente contemporaneo che per qualche strana ragione politica, sta entrando nell'oblio. Diritti civili e lotte appassionate di piazza in questa piccola isola che sa cos'è la democrazia e non vuole vederla sgretolarsi sotto il peso della politica nazionalista.

Per quanto riguarda infine la sezione internazionale, premiata da Claude Lanzmann in persona, sono la Corea del Sud e l'Europa a portarsi a casa i premi più ambiti. E quale migliore scelta!

La Mezione al Merito va a Stop-Over, un documentario sensazionale girato interamente in Grecia che racconta l'estenuante attesa di un gruppo di immigrati Iraniani, a metà tra la clandestinità e l'attesa di una nuova fuga. Il loro sogno di una nuova vita si infrange da una parte contro la brutalità del trattamento a loro riservato, e dall'altra contro una burocrazia senza via di fuga. Il regista Kaveh Bakhtiari, già candidato a Cannes come Miglior Documentario, ha trovato il suo racconto a metà tra il personale e l'universale, rappresentando la storia di suo cugino e di altri che come lui sono in cerca del sogno “Europeo”. Senza minimamente edulcorare la realtà dei fatti e parlando da un punto di vista esterno e fortunato (poiché il regista detiene passaporto svizzero), percorriamo in tempo reale le vicende drammatiche di questi amici che hanno la sola colpa di essere nati in Iran.

 

 

Bakhtiari condivide la Menzione con la co-regia di due donne, Mary Jiménez e Bénédicte Liénard e il loro racconto ambientato nella foresta peruviana, Glowing Embers.

Il Premio più ambito invece lo conquista questa regista dai modi delicati, una dolcissima coreana che è riuscita a trattare di un argomento spiazzante, trasmettendo sia il suo coinvolgimento emotivo che la lucidità di parlare del terrificante con dati e testimonianze. Si tratta di The Empire of Shame di Hong Li-gyeong, un'opera a metà tra l'inchiesta e l'appassionato documentario sui diritti civili, che racconta l'evidenza del vergognoso comportamento mantenuto dalla multinazionale Samsung e dal governo Coreano in combutta con questa, nei confronti dei lavoratori di Giheung. I numerosi episodi di malattie terminali che hanno colpito le giovani operaie di Samsung, hanno dimostrato come alcuni degli agenti chimici utilizzati in quel contesto lavorativo abbiano favorito l'insorgere di disturbi mortali. La regista Hong racconta della estenuante ma cocciuta battaglia che un gruppo di famigliari riesce a portare avanti contro, appunto, questo Impero della Vergogna.

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Il festival chiude così i battenti, vedendo la Corea primeggiare tra i vincitori con ben tre su quattro dei film in concorso premiati; ma il tutto esaurito mostra come sia stato l'intervento di diversi filmmaker da tutto il mondo e le tavole rotonde critiche programmate ad avere interessato il pubblico. FareFilm.it non ha mancato di essere presente e confrontarsi con alcuni dei registi più discussi del momento.

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