In occasione della presentazione a Roma dell’ultimo film di Giulio Manfredonia, "La Nostra Terra", abbiamo intervistato il regista e i protagonisti Sergio Rubini e Stefano Accorsi che ci hanno parlato di sceneggiatura e di antimafia
Uscirà il 18 settembre in circa 80 copie La Nostra Terra, la nuova commedia corale di Giulio Manfredonia con protagonisti Stefano Accorsi e Sergio Rubini. Li abbiamo incontrati a Roma e ci hanno raccontato le fasi di lavorazione del film, i rapporti con i loro rispettivi personaggi e con il tema dell’antimafia.
Giulio Manfredonia, ci racconti un po’ le fasi di lavorazione di questo film?
È stato un progetto molto complicato perché doveva affrontare un tema, quello dell’antimafia, di cui non sapevo nulla. Più che una storia di mafia abbiamo raccontato la mentalità mafiosa e proposto un modello diverso per combatterla. L’aspetto più importante che emerge dal film è la forza dell’unione di più persone che hanno lo stesso obiettivo. Poi mi piaceva l’idea di evidenziare il lato comico di un lavoro così faticoso. Ovviamente lo spunto è partito da Libera, però si tratta di una storia italiana ispirata a tanti esempi.
Hai quasi sempre realizzato dei film corali. Come mai questa scelta?
Ho molti amici attori e adoro lavorare con loro. Li ringrazio sempre perché sono bravi e mi arricchiscono. Poi credo che sia sbagliato scrivere una sceneggiatura già pensando ad un attore in particolare.
Stefano e Sergio, cosa ne pensate dei vostri personaggi?
S. ACCORSI: Di Libera conoscevo quello che leggevo sui giornali. Il film mi ha dato modo di approfondire il funzionamento delle cooperative antimafia. Ho conosciuto anche il dietro le quinte che mi è stato molto utile per affrontare questo personaggio. Poi sicuramente lo abbiamo estremizzato mandandolo in prima linea, nonostante non sia esattamente nella sua indole. È stato bello girare in campagna ma devo dire che la sera ero felice di rientrare.
S. RUBINI: Tanti anni fa sentii Mastroianni che diceva a Fellini che Marlon Brando era accampato da due mesi in un cimitero perché doveva interpretare un personaggio che moriva. Io in questo film non ho dovuto fare come lui. Ho parlato la mia lingua quasi per gioco. Mio nonno era contadino e quindi interpretare questo ruolo non è stato per nulla faticoso. Mi sembra che in questo periodo si riproponga in continuazione un Sud da cartolina o estremamente violento o immacolato. Amo il mio personaggio perché si colloca in una zona grigia e credo che sia molto centrato.
Che cosa vi colpisce di una sceneggiatura?
S. ACCORSI: Le mie scelte hanno molto a che vedere con la mia indole. In questo caso mi è piaciuto molto il modo in cui è stato affrontato il tema dell’antimafia e mi piaceva esplorare una corda nuova della mia personalità. Il copione mi comunica delle cose ma poi sono le sinergie che si creano a convincermi. Quello che non mi piace è continuare a riproporre lo stesso personaggio.
S. RUBINI: Io credo che nel mio personaggio e nella sua evoluzione risieda la speranza che il Sud possa cambiare. Cosimo si trasforma alla luce dell’opportunità che la cooperativa gli offre. Nel mio personaggio c’è la luce del film, è il custode del suo segreto.
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