Recensione di The Imitation Game | Un biopic tradizionale ma solido
Recensione di The Imitation Game di Morten Tyldum con Benedict Cumberbatch e Keira Knightley: un film biografico decisamente tradizionale come se ne vedono molti, ma che non rinuncia al sentimento e alla riflessione sul passato
È un personaggio in larga parte misconosciuto, Alan Turing, matematico ed eroe di guerra britannico che decifrò i codici fino ad allora ritenuti indecifrabili della macchina tedesca Enigma durante la Seconda Guerra Mondiale, cambiando la storia. Un uomo tormentato, che fu condannato per il reato di omosessualità, a quel tempo perseguito legalmente con ostinata intransigenza, e morì suicida. Il film di Morten Tyldum gli costruisce intorno un biopic piuttosto tradizionale, che trae buona parte della sua linfa vitale dall’energia complessa e sfaccettata della personalità del protagonista, genio scontroso e altezzoso misantropo, ma anche uomo dalle debolezze spiccate, costrette al silenzio della reticenza.
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È comunque un film in tutto e per tutto convenzionale, The Imitation Game. Uno di quei film calmierati a dovere che rende limpide anche le contraddizioni più profonde, che si lascia corrompere, si fa per dire, da una sobria impersonalità stilistica assolutamente calzante per operazioni di questo tipo. Una castità che una volta si definiva “televisiva”, anche se oggigiorno certe definizioni andrebbero adeguate allo spirito dei tempi.
Buone interpretazioni, tenute insieme da un protagonista addirittura eccezionale (il solito Benedict Cumberbatch, qui sofferto e umanissimo), una regia sbarazzina ed elegante, una confezione d’epoca ineccepibile. Non è A Beautiful Mind, The Imitation Game, non è a quel livello di zuccherosità, cosa che invece non si può dire di un altro film in corsa nella stagione dei premi appena inaugurata, La teoria del tutto, biopic su Stephen Hawking. Ma di certo non regala né sorprese né particolari fiammate, anche se, pur sepolto sotto strati di accademismo “da Oscar” (ci sono pure le musiche di Alexandre Desplat, a completare il pacchetto Academy friendly), un cuore pulsante c’è eccome. E a tratti si intravvede anche, lasciando percepire un battito intermittente ma deciso.
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Il film di Tyldum, oltre a interrogarsi sulla guerra come viatico per aggiornare la sofisticatezza tecnologica e scientifica del mondo (la forma più alta e più temibile di evoluzionismo guerrafondaio, spietato e sordo alle ragioni dei popoli), riflette infatti sul passato in modo non banale, a partire dalla scoperta fondamentale di Turing: quella di un codice binario di decrittazione, la cosiddetta macchina di Turing, che sarà alla base dell’informatica. Come dire che il mondo digitale non nasce certo coi nuovi media ma affonda le sue radici anche in epoche trascorse, che siamo soliti pensare in termini più materiali e analogici. Tale necessità di ravvisare un barlume di modernità in un passato che siamo abituati a considerare come muffo e distante dal nostro presente è ciò che più anima The Imitation Game. Concedendogli un insperato, solido spessore.
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