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Autore Federica Marcucci :: 10 Giugno 2016

Quando quella dei titoli di testa è un’arte: da “Licenza di uccidere” a “I Tenenbaums”

Vertigo

Ci sono casi in cui i titoli di testa diventano qualcosa in più dei semplici credits che appaiono in sovrimpressione all’inizio del film: non soltanto anticipano anche il film attraverso simboli e metafore, ma ci parlano anche della loro epoca. Grazie ai nomi di Saul Bass e Kyle Cooper, il cui talento visionario ha portato la pratica dei titoli di testa ai livelli dell’arte, oggi possiamo considerare la produzione di queste sequenze come una sorta di cinema nel cinema.

Ecco 10 tra i titoli di testa più belli nella storia del cinema:

L’impareggiabile Godfrey (1936)
Un gioco di luci e ombre per i titoli di testa del film di La Cava. Il film si apre infatti su una veduta di città che ricorda da vicino i tetti dei teatri di Broadway e, durante un lungo piano sequenza, vediamo i nomi del cast della troupe illuminarsi su enormi insegne al neon.

La donna che visse due volte (1958)
La celebre musica di Bernard Herrmann accompagna una delle più famose sequenze iniziali della storia del cinema. Considerata da molti la collaborazione migliore tra Hitchcock e Saul Bass, l’incipit di La donna che visse due volte ci accompagna in un vortice visionario che riassume alla perfezione l’intero film.

Colpo Grosso (1960)
Saul Bass distilla lo spirito cool della Las Vegas dei primi anni ’60 in cui si muovevano Frank Sinatra, Dean Martin e Samy Davis Jr. Un’esplosione di colori e umorismo forse un po’ datati, ma interessanti da considerare in relazione al contesto in cui sono stati sviluppati. Da confrontare con la sequenza del remake del 2001.

La Pantera Rosa (1963)
Nonostante i numerosi film anche oggi è ancora troppo difficile ricordare che in realtà la famosa “pantera rosa” di Blake Edwards è un prezioso diamante e non un animale. Merito del personaggio creato per i titoli di testa del primo film che, insieme al tema di Henry Mancini, è diventato iconico svincolandosi dal ruolo originario.

Licenza di uccidere (1964)
Ogni film della saga di James Bond meriterebbe una trattazione a sé per quanto riguarda l’utilizzo dei titoli di testa. Nonostante la sequenza di Licenza di uccidere possa essere considerata sperimentale sotto certi aspetti, già possiamo ritrovare in essa alcune pratiche e simbologie che diventeranno in seguito caratteristiche uniche dell’intera saga.

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ll dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964)
Utilizzando filmati di repertorio, Kubrick e il designer Pablo Ferro creano una sequenza straniante che va a introdurre una graffiante satira politica. Toni di un’elegia folle sulle note dello standard Try a Little Tenderness, perfetto contraltare per la sequenza finale sulla voce di Vera Lynn.

Star Wars (1977)
Dopo due trilogie e una terza in fase di produzione, i titoli di testa della saga fantascientifica nata dalla fantasia di George Lucas non sono cambiati. E osiamo dire per fortuna. Uno stile minimale ma allo stesso tempo estremamente evocativo che aveva in nuce grandi potenzialità sin dal primo episodio.

Seven (1995)
Si tratta di una delle sequenze iniziali più suggestive degli ultimi vent’anni e che, non a caso, ha saputo influenzare con il suo linguaggio molti altri film (ma anche serie televisive). Un montaggio nervoso di immagini simboliche e primissimi piani che David Fincher utilizza deliberatamente come una sorta di premessa a quello che lo spettatore vedrà in seguito.

I Tenenbaums (2001)
Con le sue inquadrature geometricamente perfette, Wes Anderson presenta i suoi attori/personaggi come se fossero i protagonisti di un’opera che di lì a poco andrà in scena. La quarta parete resta ben salda, ma si gioca con una sottile ironia, quasi pirandelliana.

Watchmen (2009)
Probabilmente i titoli di testa di Watchmen sono quello che resta di più dello spirito della graphic novel di Alan Moore. Insieme un omaggio e un condensato di popular culture americana, la sequenza esprime il senso di disillusione dell’intero film attraverso il loop della canzone di Dylan (ripetuta per più di tre minuti), metaforicamente in contrasto con le immagini a cui è abbinata.

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