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Autore Pierre Hombrebueno :: 27 Luglio 2015

Per Quentin Tarantino il digitale avrà pure "la risoluzione di un fottuto dvd", ma è innegabile come alcuni grandi autori, da David Lynch a Lars Von Trier, stiano tirando fuori dal mezzo tutte le sue sfavillanti potenzialità estetiche

Lars Von Trier

Da una parte, i solidi sostenitori della pellicola, squadra capitanata da un Quentin Tarantino per cui “il digitale ha la qualità di un fottuto dvd”; dall'altra, i nuovi eroi di questi nuovi mezzi che hanno rivoluzionato il cinema in questi ultimi anni, cambiando i modi di lavorare e l'esito estetico di quello che una volta chiamavamo settima arte. A iniziare ovviamente dal grande Michael Mann, che in digitale ha realizzato alcuni dei migliori film americani degli ultimi anni, e pensiamo a Collateral o Miami Vice. Ha dichiarato l'autore in un'intervista a CraveOnline: “Se oggi dovessi rifare Manhunter, lo girerei in digitale. Il digitale ha una gamma maggiore di 8 o 9 volte rispetto la celluloide, e puoi fare cose differenti con loro. Per me la cosa eccitante del digitale è cercare l'aspetto drammatico che m'interessa. Le sostante fotochimiche reagiscono in maniera statica, ma col digitale puoi controllare tanti aspetti di ciò che stai facendo”. 

Ecco poi un altro nome che garantisce molteplici standing ovation nell'industria, ovvero David Lynch, la cui ultima opera, l'intrippatissimo Inland Empire, fu girato completamente in digitale. D'accordo, uno dei motivi della scelta sarà decisamente economica, ma il risultato ha creato delle immagini indelebili e iper bizzarre che la risoluzione digitale ha certamente favorito e amplificato. Spiegava il cineasta su Film-maker Magazine: “Col digitale possiamo fare riprese molto lunghe. Non hai bisogno di stoppare la telecamera. Puoi lasciarla accesa, e puoi parlare della scena mentre stai girando. Hai tanto tempo per andare sempre più a fondo del film. Il digitale è leggero, più veloce, privo di sporcizia, di graffi, di strappi, e hai più controllo durante la post-produzione”.

Ma tra i pionieri del nuovo mezzo, bisogna per forza risalire al controverso Lars Von Trier, che nonostante abbia affermato, nel manifesto del dogma '95, che “il formato del film dev'essere sempre in pellicola 35mm”, ha poi contribuito alla causa digitale realizzando lavori pluripremiati come Idioti e Dancer in the Dark. Per il suo ultimo Nymphomaniac, ha addirittura girato alcune scene direttamente con iPhone, oltre ad una cam-corder Alexa e una Canon modello EOS 5D. 

In campo anche Danny Boyle, che pare davvero attraversare una rinascita da quando ha deciso di tuffarsi nei mezzi digitali. I risultati comprendono l'ottimo survival horror 28 giorni dopo, l'evocativo 127 ore, e soprattutto The Millionaire, viaggio dal sapor favolistico tra gli slum indiani. In barba ai detrattori, il film fu un grande successo internazionale, poi premiato con ben 8 Oscar tra cui Miglior Film, Regia e Fotografia (Anthony Dod Mantle).

[Leggi anche: Martin Scorsese spiega il suo pensiero sul cinema digitale]

Infine, se ci spostiamo nel continente asiatico, i registi che sostengono a mani aperte il digitale sembrano addirittura triplicarsi. Un nome per tutti potrebbe essere l'osannato Lav Diaz, che così ha dichiarato in un'intervista al portale Green Cine: “Il digitale cambia tutto. Ora possiedi il pennello, mentre prima era posseduto dagli studios. Ora è tutto tuo, è libero. Posso finire un intero film in questa stanza (…), non dipendiamo più dalle case di produzione e dai capitalisti. Questo è cinema della liberazione. Oggi possiamo abbattere i governi grazie al digitale”.

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