Dopo la presentazione del suo nuovo film "One on One" alla Mostra del Cinema di Venezia, abbiamo intervistato il regista coreano Kim Ki Duk che ci ha spiegato il motivo di tanta violenza nei suoi film e il disagio che vive quotidianamente
La prima giornata della Mostra del Cinema di Venezia ha avuto tra i suoi protagonisti il regista coreano Kim Ki Duk, che ha presentato in anteprima il suo nuovo film One on One. All’incontro con la stampa è arrivato indossando una maglietta in ricordo del naufragio della nave Sewol che è affondata causando la morte di tutti i trecento giovani passeggeri a bordo. “Poiché non se ne riescono ancora a capire le cause, nel mio paese c’è un’iniziativa in atto alla quale sono onorato di prendere parte. Vogliamo che il governo riveli la verità e per questo molti attivisti sono in sciopero della fame. Sono contento che anche Papa Francesco durante la sua recente visita in Corea si sia espresso in nostro favore. Ho conosciuto il padre di una delle vittime che sta facendo lo sciopero della fame ed è molto simile al protagonista del mio film che lotta tutto solo contro l’establishment. Per questo sono ancora più motivato ad essere qui”. Nel 2012 Kim Ki Duk trionfò a Venezia con Pietà mentre lo scorso anno ha presentato in anteprima Moebius, che ha suscitato non poche polemiche per l’estrema violenza e le numerose mutilazioni genitali. Il pubblico italiano, specie quello festivaliero, ha comunque dimostrato sempre molto affetto nei suoi confronti. “Sono molto felice di essere qui. Venezia mi ha dato tanto e io amo questo posto”.
One on One parla di un gruppo terroristico che decide di vendicare l’omicidio di una giovane studentessa. “Questo è un film che parla di violenza, di corruzione e dittatura e dell’effetto che hanno sulla povera gente. È il mio film più politico in assoluto ed è un’analisi che mira alla verità. Ho avuto paura che essendoci molti riferimenti alla storia coreana gli spettatori europei possano trovarli di difficile interpretazione. Poi però ho pensato che trattandosi di fenomeni universali potessero essere alla portata di tutti”. Poi aggiunge: “Credo che sia la prima volta per me che analizzo la società in modo più ampio”. Ma come hanno influito l’attuale situazione politica e l’evoluzione culturale della Corea sulla sua arte? “Il mio è un film che parla di come la violenza regoli la società. Le persone che cercano di contrastarla nel mio film sembrano delle maschere, delle entità che si chiedono che ruolo abbiano. Le domande che si pongono loro sono quelle che mi pongo anche io e che credo si pongano in molti. Per questo mi sono autodefinito un vigliacco, perché sono scioccato dalla società coreana dove la corruzione viene considerata capacità e potere e me ne sento io stesso responsabile. Spero che il mio film possa far riflettere le persone sul loro ruolo all’interno della società”.
In molti hanno sottolineato come i suoi film siano sempre molto incentrati sulla violenza fisica. “Io non voglio che le persone si soffermino sui dettagli. La violenza perpetuata nei miei film diventa l’immagine attraverso cui la violenza viene subita sistematicamente dal singolo individuo. In Corea c’è un detto secondo cui la prepotenza è funzionale alla società. Io non giustifico la violenza ma nel film voglio sottolineare la tendenza degli esseri umani a soccombere, a subire piuttosto che a reagire anche a ciò che accade all’interno della nostra famiglia”. Nel film uno dei protagonisti afferma: “Almeno noi siamo meglio della Corea del Nord.” Perché questo paragone? “La si accoglie ridendo ma è una risata amara. Siccome il loro livello di umanità è molto basso, volevo sottolineare come noi che ci siamo sempre sentiti superiori non siamo molto meglio di loro. Non avrebbe avuto senso paragonarci a paesi più civilizzati come gli Stati Uniti o la Francia”.
Le critiche rivolte alla società coreana nei suoi film hanno fatto sì che Kim Ki Duk fosse molto inviso dal pubblico asiatico e, contrariamente, molto amato in Europa. Eppure da Pietà, i suoi affezionati lo hanno apertamente criticato per la mancanza di poesia nei suoi film, sempre più estremi e violenti. “Non faccio i film per piacere però mi dispiace aver deluso i miei fan. Le domande che pongo nel mio film sono le domande che io pongo a me stesso. Io non ho vissuto una vita felice e credo che ci siano molte persone che abbiano avuto lo stesso trascorso. Detto questo prometto di trattare anche altri argomenti d’ora in avanti”. Il suo pubblico non dovrà aspettare molto per godersi questa nuova opera. One on One uscirà infatti in concomitanza con la presentazione veneziana il 28 agosto 2014.
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