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Autore Giulia Marras :: 28 Gennaio 2015
Locandina di Unbroken

Recensione di Unbroken di Angelina Jolie con Jack O' Connell | Ennesimo biopic e film bellico nelle sale di questo periodo, Unbroken è un ritratto sbiadito di un personaggio immacolato e fin troppo perfetto

Se col primo film, In the land of blood and honey, la Jolie apriva la sua carriera registica con la volontà di imprimere letteralmente sulla pellicola il suo sguardo, inquadrando l'occhio idealmente dipinto dalla protagonista, con Unbroken perde ogni velleità autoriale e affida alla camera uno sguardo altrui, prettamente maschile, senza riuscire a trovare compromessi tra sé e le influenze che in questo film l'accompagnano.

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Unbroken è infatti il risultato combinatorio dei mille occhi, americani, che hanno raccontato epicamente la guerra dal punto di vista dell'eroe: questa volta, ma come tante altre nel cinema bellico, si tratta di una storia vera, quella di Louis Zamperini, atleta olimpico e bombardiere durante la seconda guerra mondiale in Giappone, uno che non sbaglia un colpo, che non molla, che resiste nonostante tutto, per usare la solita retorica americana, qua riassunta nel mantra che scandisce ogni “prova” del protagonista “if I can take it I can make it (se resisto, posso farcela)”. Figlio e fratello devoto, podista appassionato, amico fedele, questo Louis è personaggio apparentemente senza alcun difetto, perfetto e indistruttibile, infine incredibilmente noioso e prevedibile.

[Leggi anche: Recensione di American Sniper | La guerra e la giustizia secondo Clint Eastwood]

Scritto a otto mani, tra le quali anche quelle di Joel e Ethan Coen, Unbroken è un classicissimo racconto dell'eroe che non si spezza, che durante l'avventura – qua messa in similitudine con la corsa agonistica – supera ogni avversario e vince, contro ogni pronostico, la bassa aspettativa di sopravvivenza. Nel caso di Louis, prima resiste ai 47 giorni in mare aperto, insieme al compagno pilota Phil  - interpretato da uno degli attori rivelazione degli ultimi anni, Domhnall Gleeson, il quale purtroppo non viene sfruttato pienamente (Il Grinta, Frank e presto nel nuovo Star Wars) – poi al campo di lavoro in cui le forze armate giapponesi trattenevano i prigionieri americani, puntato e tormentato dal generale "The Bird" Watanabe, personaggio su cui ruota tutta la seconda metà del film, ma tratteggiato (e interpretato) con poco reale interesse ad approfondirne la sfumatura omosessuale e psicologica nel rapporto ossessivo verso il protagonista, che può risultare facilmente immotivato.

La Jolie, coadiuvata dal vero professionista Roger Deakins, direttore di una fotografia fin troppo limpida per i corpi sporchi e smagriti della guerra, tiene invece a ritrarre il suo Cristo personale, accostandosi non troppo velatamente all'iconografia della Passione, elevandolo a corpo sacrificato, quasi martire, dimenticando da un certo punto in poi, esauriti i flashback, l'unico elemento che poteva trasformare la parabola in chiave originale, quello dello sport.

In toto, la visione della regista scompare totalmente, forse anche a causa di un cast e di una troupe tecnica completamente al maschile, che non la lascia traspirare un solo attimo di libertà. Così come sono maschili i suoi modelli cinematografici evidenti: primo tra tutti Eastwood con alle spalle non solo l'ultimo e controverso American Sniper, ma anche il dittico Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima; probabilmente la Jolie ha recuperato L'alba della libertà di Werner Herzog, visto il lavoro estremo sul fisico degli attori; e sicuramente ci fa rinpiangere la meravigliosa coppia composta da David Bowie e il Capitano Yonoi in Merry Christmas Mr Lawrence.
Purtroppo invece Unbroken assomiglia al più scialbo Pearl Harbor.

Trailer di Unbroken

Voto della redazione: 

2

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