Recensione di Le leggi del desiderio | Il terzo Silvio Muccino è un piccolo passo in avanti
Recensione di Le leggi del desiderio di Silvio Muccino con Nicole Grimaudo, Carla Signoris, Maurizio Mattioli: il senso del pudore di Muccino nei confronti della commedia è cosa buona, ma quasi nessuna intuizione riesce ad andare infine a segno
Le leggi del desiderio, con Nicole Grimaudo, Carla Signoris e Mauzio Mattioli, è la terza prova da cineasta di Silvio Muccino, capace di cogliere qualcosa, ma anche di cadere dove cadono quasi tutti gli autori italiani.
A poco più di quattro anni da Un altro mondo, il più giovane dei due fratelli torna a dare il suo contributo alla regia, approdando con discrezione e con una certa timidezza alla commedia in senso più ampio, senza però gettarvisi tra le braccia. Difatti le parti meno scalcinate di Le leggi del desiderio sono quelle relative all’amarezza di fondo, al fallimento, alla rivincita moderata: tunnel mentali ed umorali che evidentemente il regista non può abbandonare.
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Seguendo l’iter educativo che passa per le mani del guru da lui stesso interpretato, le tre cavie del film compiono ognuna il proprio percorso contro ogni previsione ben poco lineare, e passano minuti prima di accorgersi di aver “licenza di ridere”, senza che comunque si presenti realmente l’occasione di lanciarsi verso questo mood, mentre un’ombra di tormento autentico è sempre presente, qui malcelata, lì mal posta, talvolta fuori luogo, altre non capace di decollare del tutto.
La proto-disperazione di (o dei) Muccino è difficile a smacchiarsi e i quattro protagonisti, nonostante l’evidente sforzo, non riescono a togliersi di dosso una certa afflizione: se il personaggio di Muccino scansa fin troppo presto il maledettismo datato con il quale viene presentato eccedendo in umanità, quello di Nicole Grimaudo funziona in goffaggine ed acqua & sapone, con Carla Signoris che non va oltre la sua tipica compostezza monologhista e Mattioli che offre qualche sfumatura in più del solito fino ad incarnare la maschera migliore del film.
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C’è di buono che la corsa all’istantanea contemporanea quasi non si palesi, mentre c’è di meno buono che tutto il resto non riesca ad assumere un’identità o una connotazione degna di nota anche lì dove siano presenti e lanciati nella narrazione tutti i presupposti. Le leggi del desiderio ha diversi spunti, ma ogni intuizione iniziale viene man mano consumata, priva di una mancanza di direzione e di inventiva che ferma il tutto a due terzi della missione, finendo col far ripiombare l'opera nella tipica semplificazione (leggi: banalizzazione) priva di semplicità (leggi: naturalezza).
Mentre visivamente offre qualcosa in più rispetto alla maggior parte delle commedie (e non solo) e costituisce un passo in avanti nella carriera di Silvio Muccino, Le leggi del desiderio, placando da solo il bollore dimostrato in diversi momenti, apparendo infine come una versione più sofisticata e con un infinitamente maggior pudore nei confronti della comicità e della morale di un Manuale d’amore.
Voto della redazione:
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