Recensione di Resta anche domani | Teen romance sovrannaturale tra amabili resti e punk rocker
Recensione di Resta anche domani con Chloë Grace Moretz: Un teen romance sovrannaturale con personaggi più atipici del solito e bagnati di realtà, ma affossato da un'insostenibile voce fuori campo, momenti ridicoli e una pessima protagonista
Resta anche domani inizia citando John Lennon, Alice Cooper e gli Shins (!!) con sottofondo dei Dandy Warhols, Bohemian Like You. Una partenza potenzialmente da applausi per un prodotto che si presenta come l’ennesima furbata ammiccante young adult, con una ragazzina in coma divisa – o meglio sospesa nel tempo fantasmatico e sovrannaturale – tra l’amore per i vivi (leggi: best friend e morosino) e lo strazio per i morti (familiari), indecisa se lasciarsi andare o ostinarsi a restare.
A dire il vero, il film tratto dal best seller (ma va’?) di Gayle Forman (prontamente e strategicamente paragonato dal Time a Colpa delle stelle) non è il colabrodo ruffianaccio che si ci aspetta, pigri e disillusi. La giovane Mia è una protagonista atipica, atipica è la sua passione, il suo dono, il suo mondo: il violoncello. Nerd della musica classica, adora questo strumento perché solista, cioè asociale come lei, percepibilmente a disagio nel formicaio liceale. Da parte sua, il fidanzato di turno è un rocker con qualche anno ed estroversione in più di lei, oltre che con una personalità non di cartapesta come al solito (“Non riesco a scrivere di ciò che mi rende felice”). E la loro relazione a sorpresa intercetta (come anche quella con i genitori, reale ed empatica) un brandello di verità: ovvero la paura di non trovarsi quando non si è simili, e si hanno identità apparentemente discordanti, e la paura poi di perdersi, per inseguire i sogni brucianti verso cui quell’identità ci sospinge. Hanno, insomma, i piedi ben piantati nei sentimenti e nelle loro ambizioni, gli innamorati di Resta anche domani, e risentono anche di un certo palpabile disincanto.
Peccato però che ad affossare questi lampi di sincerità narrativa che abitano i flashback ci sia tutto l’insostenibile segmento ospedaliero, invaso da un’ingombrantissima voce off, appesantito da baggianate (il sussurro della dottoressa-madrina alla ragazza in coma “lo decidi tu il tuo futuro, il destino è nelle tue mani!”), aggravato da una Chloë Grace Moretz ahinoi sempre più cagna, che si agita e si strappa i capelli mentre è nello status di ectoplasma a metà fra Amabili resti e Se solo fosse vero (ectoplasma che però non passa attraverso i muri e deve scansare la gente: boh).
Il minutaggio esteso con quei 15/20 minuti di troppo e la regia impotente del documentarista Cutler, infine, fanno purtroppo dimenticare i piccoli barlumi positivi piacevolmente captati durante la visione, complice peraltro un azzeccato casting femminile (la madre di Mia è l’ottima Mireille Enos della serie The Killing, mentre la migliore amica, Liana Liberato, è giovane attrice da tenere d’occhio, già straordinaria nel da noi inedito Trust).
Voto della redazione:
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