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Autore Alessandro Tavola :: 18 Febbraio 2016
Locandina di Deadpool

Recensione di Deadpool di Tim Miller con Ryan Reynolds, Morena Baccarin: violento, esplicito e sincero, un film necessario, seppur non privo di limiti, che denuda i meccanismi del genere rivitalizzandoli come puro entertainment romantico e pop

Dopo una campagna promozionale potentissima e quasi in contemporanea con il successo d’oltreoceano, Deadpool di Tim Miller, con Ryan Reynolds e Morena Baccarin, arriva come una ventata d’aria fresca, anche se lo stanzone dei cinecomic non-DC è ancora chiuso e stantio.

Col precedente ormai lontano di Kick-Ass, tuttavia outsider rispetto alle correnti principali, era questione di tempo prima che un cinecomic di grande portata desse il la ad una dimensione meno contenuta delle sue trasposizioni, almeno in apparenza. Perché Deadpool arriva più come necessario che innovativo, Rated R spinto, volgare e violento e libero da orpelli che ha il merito di riequilibrare sotto diversi aspetti il perbenismo funambolico inculcatoci da Avengers and co e non solo. Al progetto il merito di non aver snaturato il personaggio, di aver dato forma ad una (auto)ironia che ai cinecomic provenienti dal mondo Marvel manca quasi sempre ma che ora, con l’intercedere della non sempre lucida Fox, può finalmente educare il pubblico ad una maggior libertà espressiva. Un discorso prettamente relativo al genere, mentre in una visione più ampia ritorna ad essere un film colmo di limiti.

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L’ironia, la sessualità controversa priva di stereotipi, la violenza esplicita, le dimensioni personali della vicenda, il meta-cinema, la rottura della quarta parete portano Deadpool ad un livello qualitativamente ed idealmente maggiore. Si tirano in ballo le storyline degli X-men (al cui universo cinematografico il film appartiene), Hugh Jackman, lo stesso Reynolds prende in giro se stesso e il suo precedente fallimentare Lanterna Verde, e, tra i titoli di testa a mo’ di honest trailer e il continuo rivolgersi allo spettatore di Deadpool, tutto ci ricorda che siamo davanti ad un film, scombussolando l’identità del genere (in tutti i sensi) e i suoi meccanismi, denudandoli senza farne parodia, ma accrescendone la portata, rendendo grazia sia all’entertainment che allo storytelling in modo inusuale (ma non nuovo), rendendo il suo protagonista un tutt’uno col film, che smette di essere mero contenitore quasi anonimo, ridiventando attrazione principale (cosa che è spesso riuscita, a prescindere dai risultati, alla Warner/DC).

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Un approccio smussante che potrebbe essere definito maturo, lungo la parabola che inizia nel 2000 con il primo X-Men, ma che sarebbe dovuto essere quello originario. Non bastano i tassi di sesso, violenza e ironia a fare un film o a ricalibrare un flusso fuori controllo di pellicole: Deadpool fa quello che avrebbe potuto/dovuto fare lo Spider-man post-Raimi e riesce a brillare solo rispetto al genere a cui appartiene. Tolto lo smacco e il disorientamento/orientamento (dipende dai propri presupposti iconici rispetto all’ideale di eroe problematico da fumetto americano) rimane un film non particolarmente brillante per ritmo e inventiva. Il ping pong di flashback ne fa un film di origini meno trascinato della norma, così come l’approccio divertito fa risaltare la sua sostanza di storia d’amore (emblematica la scena della proposta) grazie anche rispetto alla dissacrazione dell’impianto superoistico sia vicino (Peter Parker) che lontano (Ironman, per citarne uno) e machismi annessi, ma i realizzatori sembrano aver puntato tutto sui contenuti, seminali ma messi fino ad ora in cassaforte in attesa che il pubblico “potesse ca(r)pire”, e su una forma rigidamente comica tutt'altro che rischiosa.

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Difatti le scene d’azione non aggiungono alcunché a quanto visto finora (se non aprire i rubinetti di emoglobina), le battute migliori sono quelle relative al film stesso, i comprimari (Colossus, Testata Mutante Negasonica) e lo pseudovillain appaiono come dei riempitivi opachi attorno a Deadpool e l’autocompiacimento e l’autoconsapevolezza rispetto al progetto ne segnano irreversibilmente la vitalità, rendendolo una commedia irriverente ma programmatissima.

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In sostanza, Deadpool è finalmente un cinecomic che riporta all’idea di commedia e di romanticismo, di gusto pop, di esaltazione caciaronesca e insieme intrisa di sensibilità, risaltando in relazione all’insieme circoscritto dei cinefumetti, ma lacunoso rispetto al potenziale, ormai abbandonato, del genere e quello strettamente proprio del film. Non siamo davanti a nessuna rivoluzione, ma ad un simbolo lucido e lucidato che speriamo scuota il panorama; ad un piccolo, necessario passo in avanti, dopo una marea di passi laterali.

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Trailer di Deadpool

Voto della redazione: 

3

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