Ritratto di Andrea Caramanna
Autore Andrea Caramanna :: 18 Maggio 2014

Più buio di mezzanotte

Le opere che trattano l’omosessualità spesso scelgono storie riguardanti l’adolescenza, cosicché sono i giovani a tracciare senza tanti complimenti una vera e propria mappa emozionale di sofferenza e ribellione. Capita pure in quest’opera prima italiana di Sebastiano Riso, regista al debutto, che con Più buio di mezzanotte ha cercato la via più diretta per intercettare quel mondo di dolore in cui vive un essere umano che sta scoprendo la sua sessualità, o anche, che sicuro delle proprie inclinazioni, si rende conto, come il protagonista Davide (Davide Capone), che occorre cercare al di fuori di tutte le apparenze di una società civile, il proprio mondo delle emozioni. Così la prima parte del film coincide con questo attraversamento di un altro mondo: notturno, folcloristico, elettrizzante, bizzarro. È il mondo che non si vede alla luce del giorno nelle strade di una città, Catania, in questo caso, ma potrebbe essere qualunque paese del mondo. In questo attraversamento è il cinema a vincere, come movimento e scelta delle riprese, i piani sequenza improntati a un ricalco di quelli pasoliniani di Mamma Roma, e di Questa è la mia vita di Godard.

Per esplicitare meglio il senso politico del film di Riso è bene ricordare cosa disse il filosofo John Stuart Mill nel suo “Saggio sulla libertà”, perché in effetti, Più buio di mezzanotte parla proprio di libertà delle persone e i personaggi del film vivono un’esistenza alla quale è stata del tutto privata la libertà. Dice Stuart Mills: “Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l'aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano”. Sembra una osservazione ormai abbastanza condivisibile nelle nostre società, ma in realtà così non è. Non appena, infatti, l’individuo si discosta dalla norma, tenderà ad essere represso già da altri individui. Ma quello che più ci interessa e che appare nel film, come elemento importante, è la cesura totale tra il mondo dell’Ordine costituito e quello di un cosiddetto “subordine” costretto a vivere ai margini. Nel film, a livello visivo e rappresentativo, questo si traduce in una netta scelta dei costumi, che riguardano i personaggi. Peraltro, non so se è solo una mia impressione, sembra che si sia voluta operare una sorta di slittamento temporale tra presente e passato. Infatti, i personaggi dell’Ordine costituito, tra cui svetta il padre violento di Davide, interpretato da Vincenzo Amato, sono sempre vestiti come se la storia fosse ambientata ai primi del Novecento. Mentre i personaggi vicini a Davide, non eterosessuali come lui, vestono in tutti i modi possibili e comunque del tutto a noi contemporanei.

Sono questi, dunque, gli elementi più interessanti. Dall’altra parte si può anche perdonare una certa foga da parte di tutti gli interpreti come a cercare sempre la scena madre, l’effetto emotivo sullo spettatore, che non guasta, per carità, ma in un’opera cinematografica, non sempre porta a buon fine.

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