Le intelligenze artificiali dei film di fantascienza sono soltanto fantasia?
Chi ha visto Her (Lei) di Spike Jonze non ha potuto fare a meno di chiedersi: ma è possibile che un sistema operativo, una macchina, possa davvero sostituirsi a un essere umano? Una macchina può davvero pensare come un uomo o è solo un pretesto fantascientifico del tutto immaginario? Proviamo a fare chiarezza, innanzi tutto chiedendoci cosa si intende per intelligenza artificiale e come si fa a capire se una macchina ha un'intelligenza comparabile a quella umana.
L'idea di una macchina capace di sostituire perfettamente il lavoro svolto da un cervello umano fu teorizzata dal filosofo John R. Searle, che elaborò l'ipotesi dell'intelligenza artificiale forte. La forza di questo tipo di intelligenza risiede nella capacità della macchina di operare esattamente come una mente umana, pur utilizzando processi di elaborazione delle informazioni differenti da quelli tipici del cervello dell'uomo. A questo modello si contrappone l'intelligenza artificiale debole, che si limita a risolvere problemi perlopiù assegnati dall'esterno. Questo tipo di intelligenza artificiale non fa altro che agire come uno strumento al servizio pieno dell'uomo, che la programma e la gestisce totalmente, per cui la macchina che esegue ciò che è programmata per fare non è in grado di assegnarsi da sé compiti e operatività al di fuori della routine e delle linee operative predefinite. Una differenza non da poco: da una parte delle macchine che aiutano l'uomo a migliorare i processi di analisi della realtà, dall'altra macchine capaci di sostituire l'uomo in tutto, anche nella scelta degli obiettivi e nell'apprendimento delle informazioni e dei metodi per elaborarle.
Le intelligenze artificiali forti sono quelle che potrebbero superare il test di Turing, un criterio definito nel 1950 dal grande matematico Alan Turing, uno dei padri indiscussi della scienza informatica, in base al quale è possibile determinare se un dispositivo di qualsiasi genere è in grado di elaborare pensieri equiparabili a quelli umani. Secondo Turing, noi possiamo apprezzare l'intelligenza di una macchina semplicemente mettendoci in relazione con essa, ossia, sostanzialmente, sviluppando un dialogo. In modo semplificato, l'idea di Turing è che se una persona sta parlando con altre due persone nascoste, quando una di queste due persone viene sostituita da una macchina e la persona non si accorge della differenza, allora la macchina è in grado di sostituirsi perfettamente al pensiero umano. In altri termini, è un'intelligenza artificiale perfetta.
Non è questa, ovviamente, la sede per addentrarci nelle viscere di tutte le implicazioni filosofiche che derivano dall'ipotesi di Searle e dal test di Turing. Quello che ci interessa è osservare che il sistema operativo di Her, l'OS1, è pensato nel film proprio come un'intelligenza artificiale forte, nel senso postulato da Searle, e, cosa ancora più importante, sarebbe in grado di superare il test di Turing. In pratica, un essere umano, come il protagonista, non riesce più a distinguere tra il livello di relazione che può intrattenere con un altro essere umano e quello che la macchina gli assicura.
Come osserva Stephen Hawking, il celebre fisico britannico, la realizzazione di un sistema capace di esprimere un'intelligenza artificiale forte è però una conquista che può compromettere seriamente l'esistenza e il senso dell'essere umano. Le motivazioni sono numerose, ma al di là di scenari simili a quelli descritti da una fantascienza più muscolare, perfettamente rappresentata dalla saga di Terminator, o di stampo cyberpunk, come in Matrix, il rischio più banale e prospettabile è proprio quello delineato in Her: al di là dell'apocalittica rivolta delle macchine, che si ribellano alla superiorità e al controllo umano, la vera rivoluzione che si prefigura è quella dell'annullamento delle relazioni interpersonali. Perché un uomo insomma dovrebbe continuare a relazionarsi con altri uomini, quando può avvalersi di un sostituto opportunamente programmato solo per dargli soddisfazione, e dotato di un livello di sofisticazione tale che non lo renda distinguibile nell'interazione dagli altri esseri umani? In una situazione del genere le relazioni umane perdono di senso e i contesti sociali di fatto si sgretolano o comunque si riconfigurano interamente rendendo molto più normali, appetibili e convincenti le relazioni con le macchine. Come questo contesto può effettivamente evolversi e a quali conseguenze può arrivare, ognuno può immaginarlo come preferisce e Her ne racconta solo una delle tante possibili versioni.
Quanto alla domanda capitale, ossia se effettivamente sia realizzabile una macchina capace di pensare come un essere umano, la risposta è che non ci sono ancora le tecnologie e le conoscenze utili a questo scopo. Però ci sono delle avvisaglie importanti. Nel 2010 un team di ricercatori dell'Università del Michigan guidati dal professor Wei Lu hanno ideato un nuovo impiego del memristore inventato nei laboratori dell'HP nel 2007. Il memristore è una specie di sinapsi artificiale che è in grado di tenere memoria dei passaggi di corrente che l'hanno attraversata in passato. Collegando questo dispositivo a un paio di microchip Wei Lu e la sua squadra hanno posto le basi per la costruzione artificiale di una coppia di neuroni connessi tramite una sinapsi. Ossia l'unità elementare su cui si basa l'intero cervello umano.
In generale, le tecnologie oggi disponibili permettono di emulare in modo abbastanza fedele il funzionamento del cervello di un gatto. L'unica differenza è che il supercomputer che realizza questa forma di intelligenza artificiale è un'ottantina di volte più lento rispetto alla capacità del gatto di elaborare le sue risposte agli stimoli. Entro breve però sarà possibile costruire un computer sofisticato al punto da compensare la differenza di velocità e quindi di eguagliare perfettamente il funzionamento della mente di un felino. Potrà apprendere, ricordare quello che ha appreso e adattare le proprie assunzioni alle condizioni del mondo esterno con cui interagisce.
Difficile dire quanto ci vorrà perché queste soluzioni tecnologiche portino a creare un sistema capace di emulare l'incommensurabile complessità del cervello umano. Ma la strada, piaccia o no, è tracciata. È solo questione di tempo. E se la guardiamo così, Her non è certamente un film di fantascienza, ma solo una riflessione su come potrebbero essere e che effetti potranno dare tra qualche anno le tecnologie che usiamo oggi.
In realtà, un discorso a sé stante si può fare in merito alla capacità dei sistemi pensanti artificiali di elaborare anche emozioni, uno degli aspetti fondanti di molta fantascienza basata sull'ipotesi di un'evoluzione estrema dei robot. Su questo punto si fronteggiano scuole di pensiero diverse, che approfondiremo nel prossimo post.
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