Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC) organizza Pizza e Cinema per Amatrice, in programma questo sabato, 24 settembre, presso i Laboratori di Barriera di Via Baltea 3 a Torino. Pizza e Cinema per Amatrice consiste in uno speciale giro pizza
In programma questo sabato 24 settembre un appuntamento benefit organizzato dall'Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC) per Amatrice, presso i Laboratori di Barriera di Via Baltea 3 a Torino.
Pizza e Cinema per Amatrice consiste in uno speciale giro pizza (che in Via Baltea definiscono cinematograficamente "La grande abbuffata") e una consumazione a 15 Euro, di cui 5 Euro saranno destinati alla ricostruzione della Biblioteca di Amatrice (https://lanuovabibliotecadiamatrice.wordpress.com/).
A causa del terremoto, - dichiara Roberta Di Mattia dell'AMNC che conosce bene quel territorio - Amatrice non ha più una sua biblioteca che da molti anni è stato un importantissimo luogo culturale d'incontro che ha radunato l'intera comunità attraverso l'organizzazione di numerosi incontri con gli scrittori, presentazioni di libri e letture ad alta voce, oltre che al classico prestito bibliotecario. Questa iniziativa vuole sostenere e contribuire alla ristrutturazione della biblioteca e alla rinascita di un spazio di confronto culturale importante per la cittadinanza di Amatrice.
Si potrà mangiare la pizza dalle 19,30, mentre alle 21,30 è in programma la proiezione del film I compagni di Mario Monicelli (1963, 128') con Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Annie Girardot, Raffaella Carrà, Folco Lulli e Bernard Blier. Il film che racconta le lotte operaie nella Torino di fine '800, è in realtà girato per lo più a Cuneo, Savigliano, Fossano e Zagabria per gli interni della fabbrica. La proiezione è a ingresso libero con la possibilità di lasciare una donazione up to you per la Biblioteca di Amatrice.
«L’idea era quella di fare una commedia con tanti personaggi, un film corale nel quale ci fosse ben presente l’elemento storico. Ci affascinava l’idea di essere i primi a raccontare una storia di operai e di scioperi, argomento che era stato sempre tabù in Italia. Ma, come ho detto altre volte, in Italia la società era a destra ma il cinema stava a sinistra e noi affrontammo il film come una sfida, una piacevole sfida. E come tutte le sfide, mettevamo nel conto che potesse andare male, e infatti il film non ha avuto il successo che speravamo e che meritava. Non è piaciuto ai borghesi perché parlava di scioperi, e agli operai politicizzati perché temevano che l’ironia con la quale raccontavamo la vicenda potesse gettarli nel ridicolo. Ma è stato il film per il quale abbiamo compiuto il massimo sforzo di ricerca. Alcuni nostri collaboratori sono partiti per Torino e sono stati lì per un mese, sono riusciti a rintracciare all’ospizio due vecchietti che avevano partecipato agli scioperi di inizio secolo, e la loro testimonianza è stata utilissima per ricostruire la vita quotidiana e anche alcune scene importanti: ad esempio, la sequenza nella quale gli operai in sciopero rubano il carbone dalla stazione ferroviaria proviene proprio da un loro racconto. Poi siamo andati nelle sedi del sindacato e abbiamo consultato le riviste operaie d’epoca, soprattutto le illustrazioni, e molte tracce di questo lavoro si possono ritrovare nelle scenografie e nei costumi.» Mario Monicelli, in Torino città del cinema, D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono (a cura), Il Castoro, Milano, 2001).
«Naturalmente la mia città è Roma, ma Torino ha nella mia carriera un ruolo piuttosto strano. È un po’ come un ciclico avvicinamento, al quale fa seguito una lontananza più o meno lunga. Nell’immediato dopoguerra abitavo a Torino, nel quartiere San Donato, erano i tempi in cui la mia famiglia voleva vedermi calato in una tranquilla carriera come impiegato di concetto mentre io scalpitavo per fare l’attore. Fare l’attore significava stare a Roma e così tornai nella capitale, e non me ne sono pentito. Tornai varie volte in Piemonte, ma la prima importante è stata nel 1962, quando per Monicelli giravamo I compagni. Tutta la storia era ambientata a Torino, ma il film fu girato lì in minima parte. Era molto bello, ma inspiegabilmente andò molto male. Io credo però che una spiegazione ci fosse: fare umorismo sulle lotte operaie non piaceva a nessuno, non poteva piacere a nessuno. […] A Torino il film poi andò particolarmente male perché io e Lulli avevamo un dialogo che non fu preso molto bene. Io gli domandavo: “Che città è questa?” e lui rispondeva: “Una città di merda”… Tutte cose alle quali non ci si pensava, ma che furono poi decisive. Mi piacque però da morire il Piemonte profondo che scoprivo girando nei paesi in provincia di Cuneo, i bar, i portici che sembrava non fossero stati toccati dal tempo.» (Marcello Mastroianni, ibidem).
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