Ritratto di Andrea Caramanna
Autore Andrea Caramanna :: 7 Gennaio 2014

Nell'epoca del virtuale, dell'ipertesto, delle dimensioni parallele "internettiane" o catodiche, il genere storico rischia di non avere più nessun sistema di riferimento. La recensione

Regia: Neil Jordan
Interpreti: Liam Neeson, Julia Roberts, Aidan Queen, Alan Rickman
Nazionalità: Irlanda-USA 1996

Nell'epoca del virtuale, dell'ipertesto, delle dimensioni parallele "internettiane" o catodiche, il genere storico rischia di non avere più nessun sistema di riferimento. Il cinema classico e realista si ispirava ad accadimenti storici, ricostruiva gli eventi, sposando più o meno consapevolmente delle tesi. Michael Collins è sì la trasposizione in testo filmico di un personaggio storico. Ma per quello strano effetto di virtualizzazione e spettacolarizzazione in corso del mondo reale, la storia dell'eroe irlandese ha una ragion d'essere cinematografica più legata ai palpiti romanzeschi, agli effetti ridondanti della messa in scena, ai meccanismi di fascinazione del "medium", che ai fatti realmente avvenuti, nebulosi e incerti, e ancora oggi oggetto di discussione di storici ed esperti.

In sostanza c'è il pericolo che questo Michael Collins, nella infedeltà storica della versione su schermo, non sia meno "vero" di quello realmente vissuto. In questa babele semantica, dove l'immagine-segno ha sempre più forza (lascia tracce più profonde), è lecito porsi il problema (morale?) di fedeltà alle fonti storiche.

Nel ritratto del rivoluzionario, fondatore dell'esercito repubblicano irlandese, Jordan ha scelto l'afflato epico. Le gesta di Michael Collins iniziano quando esce dal carcere. Incomincia dal 1919 al 1921 la lotta cruenta tra indipendentisti irlandesi e inglesi. Insieme a Eamon De Valera (Alan Rickman), grande stratega della lotta e futuro primo presidente della repubblica, Michael Collins adotta le maniere forti, che provocheranno gravi spargimenti di sangue in entrambi gli schieramenti, ma apriranno la strada verso l'incontro ufficiale col governo inglese. E Michael Collins si trasforma in traditore quando accetta lo scellerato patto, che causerà la divisione dell'Irlanda, lasciando le province settentrionali ai britannici. Il suo amico De Valera diventa un avversario pericoloso (così non era nella realtà), tanto più che è stato proprio lui a mandarlo allo sbaraglio a Londra, ben sapendo che non avrebbe ottenuto il risultato desiderato: un'Irlanda totalmente libera e indipendente. Infine il sacrificio della vita che graverà anche sulla donna amata da Collins e prossima sposa, Kitty Kiernan (Julia Roberts), descritta in una sequenza straziante, ma certamente anche un po' ruffiana.

Dopo i successi di La moglie del soldato e Intervista col vampiro, Michael Collins era il film più difficile per Jordan e anche il più ambizioso. Il soggetto del film era passato per molte mani. Prima il regista Michael Cimino, poi Kevin Costner, alla fine Neil Jordan, grazie al successo popolare dei suoi vampiri, l'ha spuntata, ricevendo piena fiducia dalla produzione e un budget adeguato (28 milioni di dollari). Michael Collins non è comunque il film migliore di Jordan, ma ha una potenza affabulatoria, una sagacia espressiva, ed un equilibrio nel montaggio che vederlo è lo stesso un piacere. Gli attori si muovono con discreta disinvoltura. Primo fra tutti Liam Neeson che, con quel suo fisico da gigante buono, regge quasi tutto il film, sprigionando con naturalezza l'indole di eccezionale combattente.

A Venezia Michael Collins ha vinto il Leone d'oro e anche la coppa Volpi per la migliore interpretazione di Neeson. Ma è forse la prova più lampante della mancanza di coraggio delle giurie di molti festival. Che facilmente si lasciano sedurre (il motivo rimane misterioso), premiandole, da opere convenzionali come tutto sommato lo è Michael Collins e trascurando alla fine opere più interessanti (ci riferiamo a Fratelli di Abel Ferrara).

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