Il titolo non è affatto offensivo… non si tratta di una serie del c… ma di una produzione necessaria per la quantità di testimonianze, stili, voci, immagini, immaginazioni, sentimenti, progetti, idee, luoghi…
Si tratta della benvenuta sesta parte della compilation Fucking Different, presentata a febbraio a Berlino nel corso del festival e già premiato col Teddy Award. L’illuminato produttore è Kristian Petersen, che aveva iniziato a pensarla già nel 2005, con una girandola di territori diversi sul pianeta, quali il Brasile, Israele, New York. Poi al titolo nel 2011 si sono aggiunte tre “XXX”. E adesso l’ulteriore sfumatura ha modificato la serie designandola come “XXY”. Certo un consolidamento di un’idea indefinita, multipla, laddove si richiamano i cromosomi maschili e femminili: si uniscono e non possono esserci equivoci. Siamo oltre il fattore identitario. I registi coinvolti in questa operazione ribadiscono questo concetto di “fine delle identità sessuali identificate” come se un filo rosso molto forte unisse le storie molto lontane l’una dall’altra, ma che spesso i sentimenti comuni di rivendicazione dei diritti, dignità e bellezza fondono in modo sublime.
E andando per ordine, si inizia con Julianna Lev, arabo israeliana, transgender, porn-star, diretto da Mor Vital, diario a volte tragico di Julianna Lev in contrapposizione con la cultura araba più retrograda, trova un piccolo rifugio a due passi da casa, ma in un altro paese, ben più evoluto, in grado di accettare quasi in toto lo status di transessuale dichiarato. Ciononostante Julianna è sposato per volontà della famiglia, ha una figlia che non riesce a vedere.
Transaction di Kay Garnellen è una serie di pratiche erotiche senza freni come Grid & Grind di Felix Endara e Sasha Wortzel che documenta la storia negli anni novanta di un club per lesbiche a New York, il ClitClub. Convincing Authenticity di J. Jackie Baier gioca con le atmosfere oniriche notturne, laddove corpi si incrociano, si sfiorano in un locale, un bar qualunque di una città qualunque, imprimendo una direzione, un senso all’esistenza, mutuando pure un dialogo del filosofo Jacques Lacan, nel XX Seminario.
Più diretto, sensuale, il ritratto di Jesse firmato da Buck Angel, con lo split screen davvero efficace da una parte e il viso intenso di Jessie Flores dall’altra, che continua a raccontare la sua vita sempre con il sorriso sulle labbra.
Ritratto a quattro con Internal Body Shots di Jasco Viefhues, dove Hans Kellet, Coco, Can Pestanli e Grete Gehrke elaborano un’arringa a favore del corpo nudo contro le apparenze, ma allo stesso tempo rivelano come essi stessi sono approdati ad una concreta libertà sessuale. Posano tutti e quattro nudi, raccontano ciascuno qualche vicenda personale, sono un esempio di isola felice della sessualità contemporanea non sacrificata dal perbenismo.
Infine A woman with a past di Gwen Haworth con Antonette Rea, libera trans, poetessa di strada, abitante a Vancouver a Downtown Eastside, che ci libera la testa con molte idee e testimonianze di vissuto, la giovinezza poi la vecchiaia, il sapore dell’esistenza così come scorre con inarrestabile impeto tra lotte, nella povertà, tra droga e discriminazione sessuale.
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