Ritratto di Annalina Grasso
Autore Annalina Grasso :: 20 Maggio 2014

Jean Renoir

Il  francesissimo neorealista ante litteram Jean Renoir (15 Settembre 1894, Parigi - 12 Febbraio 1979, Los Angeles), straordinario artista, figlio di un artista, il pittore Auguste Renoir, maestro della settima arte, non ha mai esitato a mettere in luce le sue inclinazionei letterarie nei suoi film per raccontare sia il popolo che la borghesia.

Sembra essere stata scritta apposta per lui la celebre frase del filosofo Pascal: "C'è solo una cosa che interessa l'uomo, è l'uomo stesso"; come il padre, impressionista,  infatti, anche Jean è refrattario alle idee e affascinato da sempre dall’uomo e dalla sua anima.

Cresciuto nel quartiere di Montmartre a Parigi, tra artisti e poeti, compie gli studi in un collegio e, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, viene  arruolato come allievo ufficiale e mandato al fronte. Terminata la guerra apre una fabbrica di ceramiche e sposa una delle modelle del padre, che successivamente apparirà in alcuni dei suoi film. Presto si appassiona al cinema d’avanguardia e gira nel 1924 il suo primo film La ragazza dell’acqua che già dimostra un’evidente ricerca linguistica molto personale. In effetti, Renoir non vuole farsi influenzare da nessuno, sebbene subisca il fascino cinematografico di Chaplin e Von Stroheim, e per vincere la sua scommessa dirige un film muto, Nanà del 1926 tratto da Zola e il fiabesco La piccola fiammiferaia.

Ma il primo vero capolavoro del cineasta francese è La cagna (1931), una felice miscela di naturalismo degradato e realismo psicologico. Nel 1932 gira uno dei suoi film più geniali ma misconosciuti Boudu salvato dalle acque, commedia grottesca sul moralismo borghese; Madame Bovary del 1934 è un insuccesso non solo dal punto di vista commerciale ma anche artistico. Dello stesso anno è il riuscito Toni, tratto da un fatto realmente accaduto, che, secondo alcuni critici, ha aperto la strada al neorealismo italiano. Nel 1936 il regista si misura con Gorkij e dirige il drammatico Verso la vita che vede tra i protagonisti il grande attore Jean Gabin; con De Maupassant, dalla cui novella, trae il suo film più raffinato Una gita in campagna, che sintetizza magnificamente la lezione impressionista, attraverso il parallelismo acqua natura/imperfezione umana. Il regista pare voler dire attraverso sequenze simboliste-filosofiche che solo la natura può raffigurare gli aspetti migliori e peggiori dell’essere umano; emblematica e potentissima a tal proposito la scena del bacio traditore della ragazza al suo spasimante, alla quale Renoir fa corrispondere un’improvvisa ma non casuale pioggia che oscura l’idilliaca  campagna circostante.

La regola del gioco del 1939 rappresenta un caso commerciale: malissimo alla sua prima uscita, a causa dell’invasione della  Polonia da parte della Germania, venne ritirato, per poi divenire un successo dopo la sua terza ripresa in versione integrale. Ma già con La grande illusione (1937), Renoir aveva raggiunto il vertice del suo lirismo e perfezione drammaturgica, per un capolavoro antimilitarista, osteggiato dalla critica e dai regimi totalitari. "Costruito sull’idea che il mondo si divide orizzontalmente per affinità, e non verticalmente per barriere, come affermò Truffaut, La grande illusione pone l’attenzione anche sulle classi sociali all’interno del primo conflitto bellico mondiale: 1916, fronte tedesco, due ufficiali francesi, il capitano di stato maggiore De Boëldieu e il tenente d’aviazione Maréchal si ritrovano prigionieri prima in un campo di concentramento e poi in un castello fortificato, in compagnia di un insegnante, di un ingegnere del catasto, di un attore e dell’ebreo Rosenthal. Le differenze di classe vengono dimenticate e  tutti sognano la libertà. De Boëldieu si sacrifica per favorire l'evasione di Maréchal e  di Rosenthal, che riescono a passare in Svizzera.

Non vi sono scene di battaglie e di esplosioni in questo capolavoro umanista, eppure è un film pre-bellico che vuole far credere che questa sia l’ultima delle guerre; non celebra eroismi e spirito di sacrificio, la guerra  qui è bramata solo dalle classi dominanti, dalla nobiltà, che, per questioni di onore sfidano la “fascinosa” morte.

Le altre classi, rappresentate da Marechàl e da Rosenthal, invece, vogliono vivere, se vanno in guerra è solo perché costretti; meglio quindi  disertare,  cercare di sopravvivere, tendere la mano ad una contadina tedesca, quindi acerrima nemica piuttosto che celebrare l’insensatezza di una guerra che non li riguarda. E il patriottismo? L’ultimo rifugio delle canaglie direbbe il colonnello Dax nell’altra grande opera antibellica firmata Stanley Kubrick, Orizzonti di gloria. Lo spirito di fratellanza e l’umanesimo, che si respira ne La grande illusione hanno contribuito al suo grande successo, soprattutto di pubblico.

L'anno seguente Renoir dirige L’angelo del male tratto dal romanzo La bestia umana, opera importante anche perché ricostruisce documentaristicamente l’attività ferroviaria della Francia di quegli anni.

A questo punto della sua carriera il regista viene ingaggiato dalla Fox ed inizia la sua non poco travagliata esperienza hollywoodiana; nel 1941 gira La palude della morte, successivamente Questa terra è mia, Il diario di una cameriera e La donna della spiaggia, un noir frammentario, a causa dei tagli voluti dalla RKO che imposero anche il finale sbrigativo, con una fatale Joan Bennett. Nonostante la  dura uscita del produttore Zanuck che ebbe a dire: "Renoir ha molto talento, ma non è dei nostri", La donna della spiaggia è un film da rivedere e rivalutare, astratto sì, ma da leggere con una chiave psicoanalitica, vista la sua cifra onirica.

Di sicuro è L’uomo del sud (1945) il film più riuscito e sincero del periodo americano di Renoir: un dramma rurale dove il conflitto uomo-natura (ostacolo da rimuovere) è dirompente. Nel 1953 dirige Anna Magnani, in Italia ne La Carrozza d’oro, un balletto farsa che omaggia la Commedia dell’Arte attraverso il rapporto realtà-finzione. Ma prima di avviarsi definitivamente sul viale del tramonto, Renoir ci sorprende e diverte con la resa in pantomima, sebbene con un intento etico, de Il testamento del mostro tratto da Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson.

Jean Renoir è stato il primo cineasta a farci entrare nel cuore dei protagonisti delle sue storie, carpendo il segreto della vita dell’uomo e i suoi sentimenti.

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