Ritratto di Andrea Caramanna
Autore Andrea Caramanna :: 19 Gennaio 2014

Libertà espressiva, riluttanza all'autocompiacimento, originalità del testo. Sono questi i pregi evidenti della penultima opera di Gus Van Sant, bloccata dalla distribuzione dopo la sua apparizione a Venezia nel 1993. La recensione

Regia: Gus Van Sant
Sceneggiatura: Gus Van Sant
Interpreti: Uma Thurman, John Hurt, Rain Phoenix, Keanu Reeves
Nazionalità: USA, 1993

Libertà espressiva, riluttanza all'autocompiacimento, originalità del testo. Sono questi i pregi evidenti della penultima opera di Gus Van Sant, bloccata dalla distribuzione dopo la sua apparizione a Venezia nel 1993 e ripescata forse in occasione della presentazione al recente festival di Cannes del nuovo lavoro di Van Sant, To die for.

Cowgirl si rivela immediatamente come ricerca estetica con ansiose inquadrature che cercano avidamente pose "diverse", se vogliamo spiazzanti, nuovi orizzonti di senso, sperimentazione di linguaggi "altri". Il titolo originale americano, Even Cowgirls get the blues,  è più calzante e meno banale della odiosa scelta della distribuzione italiana, che ancora una volta sembra badare più alle ragioni del botteghino, piuttosto che alle autentiche caratteristiche del film.

Protagonista della storia è una bellissima Uma Thurman, che riesce ad interpretare con la necessaria leggerezza il personaggio di Sissy, una ragazza che ha avuto l'imprevedibile sorte di possedere degli enormi pollici, grazie ai quali diventa una formidabile e irresistibile autostoppista. La diversità di Sissy è quindi il punto di partenza e la chiave di lettura di tutto il film. Non solo i pollici di Sissy sono diversi, ma anche i rapporti lesbici tra le cowgirls e perfino Keanu Reeves, qui in una breve apparizione, recita la parte di un "diverso" per razza (indiana) e per malattia, l'asma, che ne complica inevitabilmente i rapporti con gli altri.

Van Sant, d'altra parte, sembra infaticabilmente, lungo tutta la durata di Cowgirl, impegnato nel tentativo di smontare  parametri e luoghi comuni della società contemporanea. Tutto questo sforzo, senz'altro ambizioso, comporta inevitabili problemi di scelta di linguaggio. Cosicché si percepisce chiaramente che le maggiori difficoltà vengono dall'improbo tentativo di conciliare l'impianto visivo, e quindi anche le generose invenzioni registiche, con una sceneggiatura giocoforza frammentaria e slegata. Il montaggio del film, e non stupisce, è stato, per Van Sant, quanto mai problematico e irrisolto. Cowgirl, nonostante la non perfetta quadratura tra testo e messa in scena, per originalità e inventiva, doti rare nella maggior parte dei film in circolazione, non può che esser considerata un'opera eccentrica e stimolante di cui suggerire la visione.

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