Viaggio tra i misteri di Napoli e dell'infanzia nel secondo lungometraggio di Mario Martone, dopo il bellissimo ed intenso Morte di un matematico napoletano. La recensione
Regia: Mario Martone
Sceneggiatura: Mario Martone Dal Romanzo Di Elena Ferrante
Fotografia: Luca Bigazzi
Interpreti: Anna Bonaiuto (delia), Angela Luce (amalia), Gianni Cajafa (filippo), Peppe Lanzetta (antonio Polliedro), Giovanni Viglietti (caserta Anziano), Licia Maglietta (amalia Giovane), Enzo De Caro (caserta Giovane)
Nazionalità: Italia, 1995
È il secondo lungometraggio di Mario Martone, dopo il bellissimo ed intenso Morte di un matematico napoletano, che cavalca decisamente l'onda della spontaneità, laddove con questa possiamo riferirci ad un'operazione culturale fatta di inviti all'ascolto, alla riflessione, e soprattutto alla totale disponibilità di fronte ad un'opera d'arte, un film, che può avere caratteristiche del tutto aliene dal carattere e dalla personale cultura ed educazione di chi guarda o ascolta.
L'opera di Martone è un efficace tentativo di scavare a fondo nella misteriosa e sfuggente psicologia dei rapporti umani, in questo caso profondamente influenzati e legati alle atmosfere claustrofobiche e indolenti di una Napoli degradata e fatiscente vicina al collasso. La protagonista, Delia (Anna Bonaiuto), è una giovane disegnatrice sulla trentina, che ha lasciato Napoli per Bologna. Da qui riceve alcune strane ed inquietanti telefonate dalla madre Amalia (Angela Luce), che presto morirà annegata, non si sa bene se suicida. Delia così ritorna nella città natale. Fa una sorta di viaggio a ritroso nel tempo, rivivendo emotivamente il passato, grazie all'incontro con i personaggi della sua infanzia. La madre di Delia, benché morta, è il fulcro di tutta la vicenda per avere determinato con il suo amante i turbamenti di Delia bambina e del marito pittore. Si scopre presto che i rapporti tra madre, marito e figlia sono alquanto complessi, inesorabilmente soffusi da perversioni, gelosie e nevrosi di ogni tipo.
Per esprimere i cangianti gradienti emotivi dei protagonisti risulta determinante l'apporto della fotografia di Luca Bigazzi, capace di ricostruire i grotteschi e lugubri ambienti della metropoli campana. Insomma un film di cui senz'altro suggerire la visione, se non altro per la sincerità di un autore che dimostra anche questa volta l'impellente necessità di raccontare una vicenda attraverso personali ed originali mezzi espressivi e dialettici utilizzando giocoforza l'idioma napoletano, infischiandosene completamente di compiacere larghe fasce di pubblico.
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